In Tribunale sul saluto romano si è creato il caos: è reato o no? Ci sono state infatti sia condanne sia assoluzioni per fatti molto simili. La Procura ha deciso di intervenire con una indicazione ai Vpo, i pm «supplenti». Nei processi a sfondo politico meglio che si consultino con i colleghi togati esperti in materia.
Si può o non si può fare il saluto romano? Il tema ultimamente è controverso, perché dal tribunale di Milano sono arrivate sia assoluzioni che sentenze di condanna. E rischia di diventare caldo nei prossimi giorni, quando ricorreranno sia l'anniversario della Liberazione che quello delle uccisioni dei neofascisti Sergio Ramelli e Enrico Pedenovi: occasione quasi sempre di cortei dell'ultradestra con il relativo apparato di labari, slogan e saluti. Così la Procura della Repubblica corre ai ripari e decide di riportare sotto una unica regia tutte le indagini per i reati «ideologicamente e politicamente sensibili». Una serie di assoluzioni recenti, questa è la convinzione dei vertici della Procura, è stata causata anche da comportamenti immotivati dei magistrati incaricati di rappresentare l'accusa nei processi: compresa quella che nel febbraio scorso ha scagionato tre imputati che il 24 aprile 2016 al Cimitero Maggiore avevano non solo fatto il saluto romano ma anche innalzato stendardi delle Waffen Ss e lanciato lo slogan nazista «Sieg Heil». Una decisione che la Procura non ritiene accettabile e che si prepara a impugnare.
Il problema nasce dal fatto che a sostenere in aula l'accusa contro gli imputati di questo genere di reati i magistrati a tempo pieno che hanno condotto l'indagine delegano al loro posto dei Vpo, ovvero viceprocuratori onorari: avvocati che campano come «cottimisti» della giustizia, sostituendo i pm nelle udienze per i reati considerati «minori». Fin quando si tratta di scippi o piccoli episodi di spaccio, non c'è problema. Ma anche il saluto romano è, sulla carta, un reato minore. E a volte accade che i Vpo cui arriva da gestire il fascicolo chiedano loro stessi la assoluzione dei neofascisti sotto accusa: a volte dopo avere cambiato il capo di imputazione. Quando poi le assoluzioni arrivano davvero, scattano i comunicati di indignazione delle varie organizzazioni partigiane.
L'esigenza di trovare una linea comune, e di evitare proscioglimenti a cuor leggero, era stata sollevata da Alberto Nobili, il pm che gestisce le inchieste «politiche» della Procura. E nei giorni scorsi il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano ha scritto una lettera a tutti i Vpo, di cui coordina l'attività, con una indicazione precisa. Ogni volta che avranno a che fare con un processo «ideologicamente sensibile», dovranno consultarsi con un pm di mestiere, esperto della materia. Non saranno obbligati a seguire i suoi «consigli», perché per legge chi impersona la pubblica accusa in udienza agisce liberamente, ma il messaggio è chiaro: «Prima di chiedere l'assoluzione, parlatene con noi». Un invito che alcuni Vpo hanno preso malissimo, considerandolo l'ennesima prova di essere considerati magistrati di serie B.
L'iniziativa della Procura nasce dal fatto che ai saluti romani e agli slogan usati in queste occasioni si possono applicare due leggi, apparentemente assai simili: la legge Scelba del 1957, che punisce il reato di «manifestazioni fasciste», e il decreto Mancino del 1993. La pena è identica (il carcere fino a tre anni) ma per applicare la legge Scelba la Cassazione pretende che ci sia un pericolo concreto di fare proselitismo, mentre per violare la legge Mancino bastano slogan e simboli, soprattutto se questo avviene in pubblico.
Alcune delle assoluzioni più recenti sono arrivate dopo che i Vpo hanno scelto di modificare l'imputazione, contestando la legge
Scelba invece della Mancino. Questo non dovrà più accadere, hanno deciso i vertici. «Come al solito siamo l'ultima ruota del carro», ha risposto un Vpo. Ma almeno la prossima volta i nostalgici sapranno a cosa vanno incontro.
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