Nella storia delle trattative sindacali, in pochi si ricordano casi più contraddittori del nodo San Raffaele. Magari più complicati (vedi le trattative Alfa Romeo), questo sì, ma non così pieni di controsensi. Innanzitutto perché in mesi e mesi di incontri è mancata la volontà di certi sindacati di «mediare» realmente. La logica del muro contro muro è prevalsa rispetto alla volontà di salvare i posti di lavoro. E gli stessi lavoratori che ieri hanno bocciato il piano anti licenziamenti, ora tremano.
Ieri all'interno dell'ospedale di via Olgettina è circolato un volantino, firmato dai 244 lavoratori che stanno per perdere il posto di lavoro. I dipendenti se la prendono con i sindacalisti più estremi, quelli che hanno dato battaglia sia all'azienda, sia ai colleghi più flessibili. «Noi il nostro futuro non lo vediamo roseo - scrivono i dipendenti - e soprattutto non vediamo le certezze dei sindacalisti che hanno detto di votare no al referendum». Come a dire che la lotta sindacale è stata combattuta sulla loro pelle da persone che ne staranno in ogni caso tranquille dietro una scrivania con stipendio e contributi. «Qualcuno - scrivono ancora i 244 «licenziandi» - ha dichiarato che con la vittoria dei no al referendum si è tutelata la dignità dei lavoratori. Quanta dignità c'è nel perdere il posto e la propria indipendenza?».
Le lettere di licenziamento sono pronte per partire. Ma i sindacati più «mordibi» cercano di rimediare in qualche modo al risultato del referendum. «Prima che i 244 lavoratori vengano lasciati a casa - spiega Renato Zambelli (Cisl) - ci sono ancora dei tempi tecnici da rispettare. Quindi sfruttiamo questo lasso di tempo per riprendere le trattative. Ma facciamolo cambiando i toni e usandone di più moderati per cercare sul serio di risolvere la situazione». La richiesta è quella di lasciare a casa le bandiere e di pensare esclusivamente agli aspetti pratici. Anche perché qualche decisione va presa: il debito del San Raffaele continua a crescere e bisogna ancora rimediare si buchi di bilancio di circa 100 milioni accumulati fra 2011 e 2012.
Rammaricato dal risultato del referendum interno all'ospedale è anche l'assessore lombardo alla Sanità Mario Melazzini che, nelle scorse settimane, aveva fatto da paciere tra la squadra di Giuseppe Rotelli e i sindacalisti. «Il nostro obiettivo principale - spiega Melazzini - era salvare i posti di lavoro. Spero comunque che oggi al tavolo del ministero del Lavoro si possa creare un'apertura di trattativa che possa portare alla tutela dei lavoratori». «L'esito del referendum - commenta invece Cristina Tajani, assessore al Lavoro del Comune di Milano - è netto e consegna una grande responsabilità alla proprietà, e anche ai lavoratori, che insieme dovranno impegnarsi ulteriormente per cercare altri margini di trattativa e di mediazione. Speriamo che la ratifica dell'accordo presso il ministero del Lavoro sia la sede per riaprire un tavolo e verificare soluzioni alternative ai licenziamenti». C'è da dire tuttavia che l'azienda ha cercato in vari modi di salvare i posti di lavoro. Innanzitutto perché inizialmente i tagli avrebbero dovuto riguardare 450 persone ma sono stati «limitati» a 244. E poi perché, a più riprese, il consiglio di amministrazione presieduto da Nicola Bedin ha proposto ai sindacati un piano B. Cioè un accordo alternativo agli esuberi del personale. Ma il piano è stato sempre rifiutato. Solo al tavolo romano della scorsa settimana si era riusciti a trovare un accordo.