Coronavirus

«Sappiamo ancora poco È un virus intelligente e difficile da battere»

La sfida del primario al San Matteo a caccia di una cura. «Il vaccino? Ci vorranno mesi»

«Sappiamo ancora poco È un virus intelligente e difficile da battere»

Mario Mondelli, professore di Malattie infettive all'Università di Pavia e direttore di Malattie infettive 2 e immunologia del San Matteo, qual è oggi la situazione dell'ospedale?

«È pressoché interamente dedito all'emergenza Covid. Fino a 20 giorni fa i posti di terapia intensiva erano 44, ora sono più che raddoppiati. Tutti lavorano con grande abnegazione per arginare questa ondata. Vi sono circa 250 pazienti Covid-19».

Il Coronavirus in Italia provoca più morti?

«La mortalità pare più elevata perché noi non consideriamo nel tasso pazienti con sintomi blandi, assegnati al domicilio e monitorati. Risulta questa mortalità perché vediamo solo la punta dell'iceberg dei pazienti più gravi».

Perché è così contagioso?

«Non sono solo tosse e starnuti, si trasmette anche col contatto, rimane sulle superfici per qualche ora, ecco l'invito pressante a lavare le mani. Ma il San Matteo ha pubblicato uno studio confortante che dimostra come le zone pulite dei reparti (computer, camici, maniglie, pareti e altro) siano risultate libere dal virus».

Il virus italiano è più aggressivo di quello cinese?

«Il virus italiano è praticamente identico a quello cinese, ci sono minime differenze, è il fratello gemello con pochi dettagli diversi. Non è più aggressivo in Italia».

Ma attacca in modo diverso da persona a persona.

«È una delle cose che ancora non capiamo. Possiamo fare ipotesi. Intanto diciamo che il nome deriva da quelle strutture a forme di chiodo che escono dalla superficie virale, come apici di una corona. Sono proteine che lui sfrutta come agganci per attaccarsi al polmone. E non solo, perché questi recettori sono risultati presenti anche su reni, fegato, intestino, pancreas e cuore. Potenzialmente tutti gli organi possono essere bersaglio del virus che però attacca prevalentemente e con effetti a volte letali il polmone».

Perché in alcune persone si sviluppa una malattia grave e in altre sintomi quasi irrilevanti?

«Io penso che dipenda dalla distribuzione di questi recettori. Il virus per attaccarsi ha armi straordinarie, difficilmente contrastabili, è molto smart per così dire, molto intelligente. L'ipotesi è che, su base genetica, alcune persone siano meno esposte, meno suscettibili a una sua invasione, in base alla diversa presenza di questi recettori. In altri il sistema immunitario riesce a bloccarlo».

Che ruolo gioca il sistema immunitario?

«Un ruolo che pare ambiguo, ma non lo è. Mette in atto una reazione esagerata, scomposta, infiammatoria, con una serie di proteine. Una è l'interluchina 6, importante nel generare l'infiammazione che può distruggere il tessuto polmonare e determinare lesioni soprattutto in pazienti soggetti a patologie avanzate. Si chiama tempesta citochinica. È stato osservato che particolari anticorpi che neutralizzano l'interluchina 6 spengono anche questa infiammazione, quindi abbiamo bisogno di un buon sistema immunitario, ma anche di evitare che reagisca in modo scomposto, facendo danni».

I farmaci?

«Ora usiamo gli antiretrovirali e anche la clorochina, pensata tanti anni fa per la malaria. Questi, in vitro, hanno dimostrato un'attività efficace contro il virus. Stiamo sperimentando anche il Remdesivir, usato per sconfiggere Ebola. Infine si sta introducendo il Tocilizumab, anticorpo che neutralizza l'effetto dell'interluchina 6, farmaco ideato contro l'artrite reumatoide che usiamo da oggi (ieri, ndr) nei pazienti più critici. Poi c'è tutta la terapia di supporto. Dalla California arriverà un kit che consente di eseguire il test ovunque, in 10 minuti, prelevando goccioline di sangue. Si potrebbe non usare più il tampone, dopo opportuna validazione».

La speranza di un vaccino?

«Il punto interrogativo è se l'organismo sviluppi anticorpi in grado di neutralizzare il virus e di inibire una reinfezione. Morbillo e rosolia, per esempio, danno un'immunità permanente. Di questo virus sappiamo troppo poco. Ci sono casi di pazienti dimessi con due tamponi negativi che poi risultano positivi. Stiamo studiando questi aspetti e c'è ancora molto da sapere sulle risposte buone degli anticorpi. Una ventina di aziende di biotecnologie negli stati Uniti stanno già lavorando su questo, i primi risultati saranno disponibili prima dell'estate e da lì a sviluppare il vaccino ci vorranno mesi.

Molto simili sono anche gli studi israeliani: vaccini genetici che evocano una risposta protettiva, non stimolando solo la formazione di anticorpi ma anche di cellule che danno risposte efficaci, cellule citotossiche che riconoscono il virus e lo distruggono».

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