La Scala abbassa il sipario sui 15 milioni dei sauditi

Il sindaco: "La Fondazione restituisce quei soldi. Ma non siamo contrari ad altre collaborazioni"

La Scala abbassa il sipario sui 15 milioni dei sauditi

Ieri è stata la resa dei conti in piazza Scala. «Oggi facciamo le cose più difficili», ha ammesso lo stesso sindaco prima di entrare al consiglio di amministrazione del Piermarini: all'ordine del giorno l'ingresso dell'Arabia saudita nel board. Ma anche l'occasione per mettere i puntini sulle «i» rispetto ai fuochi incrociati politici e alle polemiche, trovare una posizione unanime e «ricominciare da zero», per dirla con le parole di Beppe Sala. In due ore tra discussioni e relazione del sovrintendente Alexander Pereira è stata scritta la parola fine allo psicodramma «arabi sì o no» nel tempio della lirica. Così si sono polverizzati in un attimo 15 milioni di euro che il principe Badr bin Abd Allah aveva messo sul piatto per un accordo di collaborazione culturale, che prevedeva la tournèe, l'apertura di un Conservatorio a Riad e l'ingresso come soci fondatori.

«Devo fare una premessa fondamentale - inizia con faccia scura il sindaco - il cda della Scala non ritiene che l'Arabia Saudita sia un paese con cui non si deve parlare o aver qualche tipo di collaborazione, il Teatro ha sempre avuto rapporti con tutti e ha sempre immaginato tournèe in tutti i Paesi». Detto ciò il due bonifici da tre milioni e 100mila euro saranno restituiti. I bonifici non riportano causali, «e il problema è che sono stati fatti non rispettando le linee guida relative alle donazioni». Ovvero non è stata chiesta nessun via libera al versamento del tutto «inaspettato» stando alle parole del presidente del Cda Sala, come acconto. La decisione, specifica il sindaco, è stata presa all'unanimità, ma «i politici possono esprimere tutte le opinioni, ma se hanno consiglieri nominati nel board sono pregati di allinearsi ai ciò che i loro consiglieri dicono». Tradotto: i leghisti non facciano i furbi. Il riferimento voluto è al governatore Fontana e al suo consigliere Philippe Daverio. Alla fine però è andata nella direzione tracciata dai lumbard, vicepremier Salvini in primis: niente arabi nel teatro milanese.

«In pratica? Non esiste oggi nessun percorso avviato per l'ingresso in Consiglio - fanno sapere dal teatro - che rimane aperto a considerare nuovi progetti di collaborazione da formulare in conformità alle procedure». Procedure che prevedono un accordo preliminare a qualsiasi versamento. Detto ciò, «non abbiamo preclusioni a collaborazioni future rispetto ai sauditi - specifica il sindaco- . O il governo ci dà una black list di paesi con cui non si possono avere collaborazioni, in nome del mancato rispetto dei diritti umani, oppure noi non ci sentiamo nemmeno in condizione di poter dire che con certi paesi non parliamo. Io poi non sono così d'accordo sul fatto che un governo estero non possa sedersi in un teatro italiano: abbiamo istituzioni finanziarie importanti che hanno nel board rappresentanti di istituzioni o società arabe».

Così se il presidente Fontana due giorni fa ha chiesto la «testa» di Pereira, il sindaco mantiene la sua posizione di difesa: «È stato ingenuo, certamente ha agito in buona fede nella ricerca di sponsor per il teatro, poi non ha ancora capito come funziona la politica in Italia - ha detto - e la questione

è stata indubbiamente gestita male da ogni punto di vista». Il futuro del sovrintendente? «Bisognerà attendere ancora un mese e mezzo per conoscere l'esito della ricognizione e della ricerca del suo successore, dal 2020».

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