Scala, la Cgil si inventa il contro referendum

Scala, la Cgil si inventa il contro referendum

di Carlo Maria Lomartire

Alla Scala rissa fra sindacati, botte da orbi a colpi di referendum. Da una parte Cisl, Uil e Fials, dall'altra, manco a dirlo, la Cgil. Che, come al solito, accusa tutti gli altri di non essere «unitari» semplicemente perché non si allineano pedissequamente alle sue posizioni. Materia del contendere il nuovo contratto che prevede, tra l'altro, una maggiore partecipazione dei privati al capitale e alla gestione del tempio della lirica. Cisl, Uil e Fials sono favorevoli. La Cgil è contraria. I primi, perciò, hanno indetto un referendum tra i lavoratori del teatro, come sarebbe democraticamente normale, anzi ovvio. La seconda, sapendo di perdere, consapevole del fatto che quella sconfitta avrebbe segnato la fine della sua pluridecennale e immeritata egemonia nel Piermarini, e quindi dell'infinità di diritti di veto e facoltà di interdizione di cui gode, tanto da arrivare a condizionare la scelta dei dirigenti, la Cgil, dunque, decide di non partecipare al referendum e, anzi ne indice uno in proprio.
È evidentemente una plateale manifestazione di debolezza, una quasi esplicita ammissione della consapevolezza di essere ormai in condizione di minoranza. Ma la situazione diventa addirittura grottesca se si analizzano i contenuti dei quesiti che il sindacato della signora Camusso sottopone a referendum: «Sei favorevole alla contrattazione collettiva a livello nazionale oltre a quello aziendale?». Risposta possibile: si, no, non lo so, ma che c'entra? Qui stiamo parlando della Scala. Altro quesito: «Sei favorevole a contenere l'apporto dei privati entro limiti che consentano una gestione essenzialmente pubblica del teatro?» Anche in questo caso potrebbe bastare la risposta precedente, ma stavolta a colpire, nella banale e arcaica contrapposizione pubblico-privato, è il contenuto sfacciatamente ideologico della domanda. Che, volendo restare su questo piano ma dall'altra parte, potrebbe essere sostituita da quest'altra: «Preferisci un gestione del teatro essenzialmente pubblica ma inefficiente o un maggior apporto dei privati che ne aumenti l'efficienza?».
Ma la Cgil, una volta imboccata la strada perdente del referendum solitario, non poteva che rivolgere ai lavoratori della Scala domande banali e inutili per ricevere risposte ovvie e scontate. In realtà si tratta di un referendum comunque del tutto inconcludente, sia per la scelta del sindacato promotore di correre da solo sia per il disarmante carattere ideologico dei quesiti proposti. Assisteremo, forse per la prima volta nella storia, ad un referendum solipsistico, siamo di fonte a un caso di puro onanismo referendario. Se lo indicono e se lo votano da soli. Ma ai piccoli boss della Cgil scaligera tutto questo importa poco. A loro interessa soltanto che con il referendum non venga certificata la loro sconfitta e perciò se ne fanno in solitudine.

È un episodio piuttosto triste e perfino un po' squallido, perché dimostra la decadenza di un sindacato, comunque prestigioso, che in passato ha dimostrato preparazione politica e cultura della contrattazione, mentre ora sembra interessato solo a conservare posizioni di potere.

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