Un fuoco di domande su vite invase ma non sconfitte dalla malattia. Così l'arcivescovo, Angelo Scola, si è lasciato interrogare dai pazienti, dai medici, dagli infermieri dell'Istituto nazionale dei tumori di via Venezian. Gente come Nino, che dopo un anno e mezzo di cure racconta di aver capito che «la malattia non è contro di me, è un'opportunità che mi è stata data per sviluppare al meglio la mia vita». O il medico che chiede «quali valori» portare con sé nel mondo della sanità.
Il luogo porta con sé anche il tema della fine della vita. L'arcivescovo ne parla in modo diffuso. «L'accanimento terapeutico va sempre escluso anche se la vita va difesa fino all'ultimo. Sono due cose che si conciliano, rispettando il valore supremo che la vita ha e aspettando che il paziente trovi la sua morte personale. E una volta che la vita è voluta, difesa e affermata fino in fondo, la volontà del paziente, del medico e dei familiari non può non entrare in gioco» ribadisce Scola, sintetizzando in questo modo la dottrina della Chiesa sull'argomento, che dice no all'eutanasia come all'accanimento terapeutico.
Ogni paziente, con la sua famiglia e il suo medico, è un caso a sé e «le cure palliative come accompagnamento al passaggio al Padre sono molto preziose». E per spiegare la sua idea di «morte personale» Scola cita la preghiera del poeta Rainer Maria Rilke: «Dà, Signore, a ciascuno la sua morte. La morte che fiorì da quella vita, in cui ciascuno amò, pensò, sofferse».
Una traduzione concreta. «Qui sono nate le cure palliative, un accompagnamento al termine della vita che ha reso praticamente nulla la richiesta di eutanasia in questo ospedale» ricorda Marco Pierotti, direttore scientifico della Fondazione Irccs Istituto dei tumori. Il presidente, Giuseppe De Leo, parla del «pieno rispetto della volontà dell'ammalato durante tutto il percorso della malattia». E il direttore generale, Gerolamo Corno, di «un istituto che mantiene la sua originaria vocazione di ospedale inteso come luogo di scienza e ospitalità».
In sala sulla sua carrozzella c'è Gianni Bonadonna, oncologo di fama internazionale. Colpito da un ictus, il celebre medico ha combattuto anche con diversi libri sul coraggio di ricominciare. Ma non a tutti è facile trovare il giusto equilibrio tra la lotta per la vita e l'accettazione della morte. Il cardinale cita gli studi americani sull'immortalità e non pone «limiti al progresso scientifico». E però «la fiducia talora eccessiva nella possibilità di superare la malattia non genera di per sé la felicità, anzi si accompagna a una tendenza alla depressione».
Non è la durata a rendere felice una vita, ma il senso: «Più la prova è difficile da affrontare e più ci vuole una ragione». Così anche le cure palliative contribuiscono a restituire senso all'«esperienza della morte che resta laida e brutta anche dopo che Gesù l'ha sconfitta». Con un ammonimento a non strumentalizzare per battaglie di posizione il dibattito sulla fine della vita: «Intorno al problema della perimortalità è facile che nasca l'ideologia, sbagliata perché favorisce una visione parziale».
Si parla di ricerca e dei pochi fondi a disposizione. Scola si augura che si diffonda nel Paese «una cultura politica nuova». Poi è lui a porre una questione: «Chi fa la gerarchia degli ambiti di ricerca e con che criteri?».
Poi il cardinale ha visitato in privato il reparto di pediatria oncologica, che ospita bambini dai due anni fino a ragazzi delle superiori.
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