Sconfitto l'eterno partito del no il commento 2

di Carlo Maria Lomartire

Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: in Italia, in Lombardia, a Milano è attivo e crea danni incalcolabili un partito terribile: è il partito della miseria, della mancanza di lavoro, della disoccupazione, della fame. E quindi, di conseguenza, della disperazione, del disordine e dell'anarchia. Chiamiamolo pure, senza temere di esagerare, il partito della morte, come conseguenza ultima del non fare. È il partito del no a tutto, alla Tav, al nucleare, ai rigassificatori, alle grandi infrastrutture, quello che in questi giorni si opponeva al piano di riqualificazione dell'area ex Alfa Romeo di Arese. Lo ha fatto con azioni violente contro il Comune di Lainate ma anche con iniziative solo apparentemente legali, perché sindacali, e patetici cortei delle poche decine di ex dipendenti del Biscione, di cui è sopravvissuto solo il marchio, rimasti ad Arese come gli ultimi giapponesi in un'isola del Pacifico. Su quell'area sorgerà una nuova città, con tanto verde, abitazioni, un grande centro commerciale e strutture produttive, ma senza dimenticare, con il museo storico dell'Alfa Romeo, una gloriosa storia industriale. E poi infrastrutture, collegamenti con Milano, servizi. Un'operazione che darà lavoro subito e direttamente a tremila persone e poi, una volta funzionante, ad almeno duemila.
È lo stesso partito che si oppone anche alla realizzazione della Città della salute che sulla ex area degli stabilimenti Falk a Sesto San Giovanni riunirà l'Istituto dei tumori e il neurologico Besta insieme ad altre strutture complementari: sarà il più grande centro di ricerche d'Europa. Anche in questo caso si tratta di una operazione che impegnerà migliaia di lavoratori. Come si può, se si è persone normalmente pensanti e responsabili, dire di no a iniziative come queste? Come si può preferire che resti tutto così com'è, vecchi capannoni cadenti, arrugginite strutture industriali ormai stabilmente occupate da tossici, barboni, pantegane e cani randagi, «location» per rumorosi «rave party» a base di qualsiasi droga nel migliore dei casi? Si può se si vuole spingere la gente all'esasperazione, se si gioca al tanto peggio tanto meglio, se si considera questa maledetta crisi un splendida occasione pre rivoluzionaria. O se, più banalmente, si preferisce un utopico mondo senza nuove iniziative imprenditoriali, anzi senza imprese, senza impiego di energia e valorizzazione di energie, immobile in un immaginario scenario bucolico ma in realtà tumultuante in un inevitabile clima di disperazione.
E, d'altra parte, di cosa ci meravigliamo se ancora c'è chi, anche tra i santoni dell'architettura di sinistra, aborrisce i grattacieli perché non farebbero parte della «storia urbanistica della della città»? Per non dire di chi li considera pericolosi perché gli uccelli andrebbero a picchiare contro le facciate riflettenti. Come c'è chi vorrebbe fermare tutto anche alla Darsena, la cui sistemazione è bloccata da troppi anni, perché nel frattempo su quel fondo putrescente si sarebbe formato, pensate un po', «un nuovo ecosistema», erbacce muschi rospi bisce lombrichi... Tutti da salvaguardare. Quelle che non andrebbero salvaguardate, invece, secondo questa gente, sarebbero solo le occasioni di sviluppo, di crescita, di lavoro, di miglioramento dell'ambiente urbano e quindi, in sostanza, della qualità della vita intesa nel senso più reale e concreto.
Dobbiamo cominciare ad interrogarci, spietatamente, su quanto questo atteggiamento di nichilismo imprenditoriale, di luddismo ecologico, di fobia per ogni forma di cambiamento e sviluppo, non abbia peggiorato la posizione dell'Italia di fronte alla crisi, bloccando da almeno un decennio innovazione e investimenti strutturali.


Come troppo spesso ci è accaduto nella storia, siamo andati in questa guerra economico-finanziaria, impreparati e poco armati.
Grazie anche all'attività di aperta diserzione e tradimento del partito del no, del no a tutto.

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