«Se sarò sindaco libererò la cultura dalla politica»

Il candidato del centrodestra domani al Franco Parenti per parlare del suo programma «Servono manager, trasformiamo i musei in fondazioni private»

Mimmo di Marzio

Ripartire dalla cultura per rigenerare le fondamenta del tessuto sociale. Stefano Parisi, candidato del centrodestra, apre un fronte importante nella battaglia per la conquista della poltrona di sindaco di Milano. E domani, nella sala grande del Teatro Franco Parenti, aprirà un incontro pubblico che vedrà la partecipazione di esponenti dell'intellighenzia milanese per tracciare il solco del suo programma per una nuova «Cultura d'avanguardia». Il sottotitolo emblematico è «Liberiamo i talenti dalla solitudine». Al suo tavolo personalità come il presidente di Triennale Claudio De Albertis, il collezionista e mecenate Giuseppe Iannaccone, il presidente degli Amici del Monumentale Carla De Bernardi.

«Liberazione» è un termine che aveva usato anche Pisapia in campagna elettorale. La cultura va liberata?

«Le energie vanno liberate da una politica che fino a oggi, anche a Milano, ha sempre avuto un'impronta fortemente dirigista. E il dirigismo non si addice a una società contemporanea sempre più multiforme, multiculturale e multietnica. E malissimo si addice ai giovani che, infatti, non si avvicinano ai luoghi della cultura».

La politica deve fare un passo indietro?

«Un passo indietro e uno avanti. Una politica moderna deve scendere dal piedistallo e affidarsi a chi ha le competenze tecniche per coinvolgere le vere risorse delle città, spesso nascoste, sapendo discriminare la qualità. Mi riferisco ai manager della cultura che nel nostro Paese hanno un'importanza cruciale».

Se sarà eletto sindaco da dove comincerà?

«Non dalle cosiddette torri d'avorio, ovvero i luoghi istituzionali della cultura. La città deve tornare a produrre cultura, a sperimentare e ad attirare talenti anche dall'estero che vedano Milano come una culla per la creatività. Ma per far questo bisogna cominciare dal tessuto urbano: dalle scuole, anzitutto, che devono aprirsi al territorio e diventare dei poli culturali che valorizzino le risorse dei quartieri, facendovi confluire tutti gli ambiti della creatività, dall'arte alla musica alla moda».

Anche lei vuol puntare sulle periferie?

«Io voglio puntare sulle persone di questa città che troppo spesso stanno ai margini. Magari in quartieri che vivono con difficoltà la convivenza di culture diverse. La scuola in questo può diventare un crocevia fondamentale di integrazione. Ma non solo. Ci sono le biblioteche, un'altra istituzione deputata alla cultura da trasformare in contenitore di iniziative territoriali. Infine, non da ultimo, mi interessano gli spazi pubblici e privati inutilizzati».

Quelli non mancano di certo, si continua a costruire ma la città è piena di immobili vuoti. Che cosa ha in mente?

«Voglio dar vita a una banca degli spazi liberi e proporre ai privati la cessione con affitti calmierati ad attività di carattere culturale. In cambio, il Comune offrirà ai proprietari la concessione di cubature in aree da riqualificare».

Potrebbe essere la salvezza per le librerie indipendenti costrette a chiudere per il caro affitti.

«Non solo per loro, ma per tutte le proposte culturali di qualità. E la qualità non la decidano gli assessori ma i manager e i direttori culturali».

E i luoghi istituzionali come musei civici e spazi espositivi pubblici? Quelli sì che avrebbero bisogno di management...

«Anche in questo caso la politica deve fare un passo indietro. La mia idea è trasformare questi enti in fondazioni di diritto privato che siano in grado di darsi una governance efficiente e fare fundraising sul modello di Triennale. È assurdo, ad esempio, che i musei civici non possano darsi un'elasticità negli orari durante grandi manifestazioni come la settimana del design. Ed è assurdo che durante la fiera Miart, il Pac fosse vuoto».

Dimentica i sindacati, ci si sta scontrando a Brera anche Bradburne...

«Il personale dei musei va istruito e motivato, ma anche integrato con i volontari come avviene da sempre in Usa».

E i giovani? Come avvicinarli al patrimonio culturale?

«Penso a luoghi e manifestazioni che mettano in dialogo l'arte con la

moda, la musica e il cibo, che sono i primi territori estetici a cui si accostano i giovani. Ma penso anche a un progetto che dedichi alcune piazze alle proposte culturali. Per liberare, appunto, i talenti dalla solitudine».

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