«La cucina e la tavola sono il luogo dove nascono e si consolidano le amicizie». La sintesi è di Demetrio Albertini, ex calciatore del Milan e della nazionale. Nel periodo in cui ha vestito la maglia del Barcellona non frequentava discoteche come i suoi compagni di squadra, ma enoteche e cantine. Buongustaio, si diletta in cucina e ama organizzare grandi tavolate di amici per condividere passioni e racconti. Impegnato anche nella solidarietà sta organizzando una vendita di memorabilia dei campioni dello sport a favore della fondazione guidata dalla campionessa olimpica di scherma Bebe Vio. Ci sentiamo da Vipiteno, dove si trova con la famiglia. «Ci ritroviamo due giorni all'anno per stare tutti insieme, è il regalo di noi fratelli ai nostri genitori».
Che rapporto hai col cibo?
«Per me è una grande passione fin da quando giocavo. Sono di vecchio stampo e considero la tavola il luogo dove condividere l'amicizia. Un valore che voglio trasferire ai miei figli. Sulla tavola c'è di tutto, il cibo ha una storia alle spalle, è cultura del nostro Paese. Difficilmente un italiano mangia per nutrirsi. Anche dai miei viaggi, vicini o lontani, mi piace riportare sempre qualcosa da mettere in tavola. Perché condividere è sintesi di amicizia, affetti e lavoro».
Il sapore dell'infanzia?
«Cucina povera, i tortellini in bordo della domenica, la cotoletta alla milanese. I miei figli stilano una classifica delle migliori cotolette e il primo posto è saldamente in mano a quelle che cucina nonna Giuseppina».
Il profumo che ami in cucina?
«Tanti, perché essendo un appassionato, sono più entusiasta e meno critico. Dei profumi sentiti da bambino, dico il soffritto. Oggi, avendo sposato una donna pugliese, i profumi che mi richiamano sono quelli del pomodoro. La pasta al pomodoro è uno dei piatti più buoni».
Demetrio Albertini si schiera più volentieri ai fornelli o a tavola?
«Mi piace stare ai fornelli o alla griglia, per condividere con gli amici la declinazione completa di una cena. Come succedeva in campo, anche in cucina curo l'organizzazione: dalla spesa ai fornelli. L'equilibrio in famiglia è questo: io mi occupo di spesa e cucina, a mia moglie la responsabilità della sala. Insomma... sparecchia lei».
Cosa non smetteresti mai di mangiare?
«Più che di mangiare non smetterei mai di degustare il vino, con curiosità e passione, unite ovviamente alla giusta e responsabile quantità».
Il pranzo o la cena che non dimenticherai mai?
«Quando giocavo la Champions League avevamo due cuochi che ci seguivano e ci hanno insegnato che anche gli atleti possono mangiare bene. Non dimenticherò mai gli gnocchi di patate al pomodoro della vigilia delle partire di Coppa dei Campioni, erano meravigliosi. Nella vita non c'è una cena particolare ma moltissime. Che siamo a Milano, a Forte dei Marmi o in Puglia le ricordo tutte con piacere e tante ancora ce ne saranno, sempre importanti. La Champions non la giocherò più, ma le cene con gli amici mi vedranno sempre titolare, anzi capitano».
Il vino cosa stimola in te?
«Sono appassionato da quando avevo 22 anni. Mi piace più assaggiare che studiare. Girare per cantine, scoprire, capire. Dietro il vino c'è grande semplicità, ma anche grande lavoro. Un bicchiere di vino e amici giusti sono il collante della vita. Quando conoscerò un astemio lo inviterò sempre alla mia tavola».
Perché?
«Per bere anche il suo bicchiere...»
Bianco, rosso o bollicine?
«Semplice, quando hai passione è difficile scegliere. Dipende dal momento, cambi per curiosità. Il bianco a volte è più difficile da capire. Ogni vino rappresenta un incontro dal quale può nascere qualcosa. A volte ti leghi a un vino per ciò che stai vivendo. Un aneddoto se posso».
Volentieri...
«Nel 2000, durante l'Europeo, mi sono fatto spedire nel luogo dove eravamo in ritiro due casse delle mie bottiglie preferite. Le aprivamo dopo ogni partita per berle insieme. Ecco questo è condividere».
Il tuo menu preferito è tradizionale o innovativo?
«Io voto per la cucina tradizionale. Oggi però viviamo un forte cambiamento dovuto alla passione molto diffusa per il food. Negli anni '90 gli italiani erano 60 milioni di commissari tecnici, oggi sono 60 milioni di chef. Forse si tratta di una moda, a volte esasperata, ma voglio vederla come valorizzazione della professione e mi fa piacere che anche nel quotidiano si mangi meno e meglio. Anche la presentazione, la voglia di impiattare bene, così come la ricerca delle materie prime sono entrati nelle case, questo è un fatto positivo. E dai tanti amici chef, imparo sempre qualcosa».
La regione e la città che per te sono sinonimo di buona cucina.
«L'Italia è meravigliosa, tra tutte indico la Toscana, per la scelta. Pesce, pensa al cacciucco, carne, la ciccia è Toscana e il vino è superlativo. Se devo pensare a una città dico Roma con la sua cucina. Ma sono innamorato della Puglia e del suo territorio enogastronomico».
Il tuo luogo del cuore?
«La Puglia».
La cena romantica è ancora l'arma italiana per conquistare?
«Sì, se condividi
l'amicizia, perché non condividere l'amore? Anche un aperitivo o un dopocena possono riuscire nell'intento. Noi italiani siamo meravigliosi nell'apertivo. Anche in Spagna, mia seconda patria, ci hanno copiato lo Spritz».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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