Cronaca locale

Un set cinematografico per fare risorgere i capolavori di Brera

Tutto era cominciato con un annuncio a sorpresa: per la prima volta nella sua centenaria storia, la Pinacoteca di Brera era a caccia di uno sponsor privato. Lo disse apertamente la direttrice Sandrina Bandera, e pubblicò un regolare bando (offerta minima: 40mila euro). Sul piatto c'era la visibilità del marchio del mecenate nell'ambito di un progetto ambizioso, capace di dare nuova vita a due dei capolavori più noti della collezione permanente: il "Cristo Morto" (1506) di Andrea Mantegna e la "Pietà" (1465) di Giovanni Bellini, rivisti in un suggestivo allestimento scenografico (anzi: emozionale) firmato dal regista Ermanno Olmi.
Era metà ottobre e il maestro aveva accettato con entusiasmo la sfida: «Ha studiato a lungo e con una cura maniacale i dipinti per questo rinnovamento»¸ conferma Sandrina Bandera. Il main sponsor non si è fatto attendere: l'elegante logo Van Cleed and Arpels spicca sul progetto che oggi sarà presentato in Pinacoteca.
Dopo un mese di movimentazione, studio delle luci e dei particolari, i due capolavori del Mantegna e del Bellini trovano finalmente una collocazione degna del loro pregio, uscendo dallo spazio un po' soffocante cui erano relegati. Per il «Cristo Morto» del Mantegna, drammatico e intenso come sanno essere solo le opere essenziali, Olmi ha previsto una saletta riservata (la numero VII): i ritratti che erano lì presenti - e parliamo di opere di Tiziano, Tintoretto, Lotto - sono stati inseriti nelle sale napoleoniche insieme ad altri capolavori del Cinquecento. L' «isolamento» del Mantegna, situato in fondo alla sala, è di grande effetto specie perché anticipato nella sala precedente dalla visione della «Pietà» del Bellini. Grazie a uno studio basato sulla prospettiva, altezza e corretta illuminazione, la tela del Mantegna è stata posta quasi alle spalle di quella del Bellini: i due, che nella vita furono cognati e amici, paiono parlarsi attraverso le loro straordinarie opere. Il visitatore incontra così nella sala VI il dipinto del Bellini, con quella luce tipica della pittura veneta del Quattrocento, e s'immerge nel tema della deposizione, poi viene catturato dal corpo esanime, scioccante, del Cristo del Mantegna (che per l'occasione è stato dotato anche di una teca più trasparente di quella precedente e con il controllo microcolimatico a distanza).
Il progetto di Olmi - un elogio all'essenzialità del dolore, tema caro anche alla sua cinematografia - è capace di donare alla Pinacoteca qualcosa di molto più grande di un allestimento: è l'occhio del regista che guida e suggerisce al visitatore una lettura emozionale delle due opere. I lavori sono stati realizzati con il sostegno di Skira e sotto la direzione dell'architetto Corrado Anselmi, Metis Lighting e studio Maronati, e anche con il contributo dell'ufficio allestimenti del Piccolo Teatro.

La «lectio» di Olmi, capace di entrare in punta di piedi in un museo dall'identità ben definita per stravolgerne il tradizionale percorso grazie a un incontro con l'arte che passa prima di tutto dal cuore, è inserita, insieme ad altri interventi, nel ricco catalogo del progetto, edito da Skira.

Commenti