La signora di Brera che faceva ritratti ai vip

Inaugura un omaggio a Fulvia Levi Bianchi artista amica di Fontana che amava i salotti

Francesca Amè

Una milanese cosmopolita, affascinante e indomita, capace di animare i migliori salotti dei suoi anni e poi indossare la tuta da lavoro e chiudersi in atelier per ore: Fulvia Levi Bianchi, detta Fuffi, fu artista originale e finalmente una mostra in Italia le rende il dovuto omaggio. «Ab Ovo. Un viaggio nell'opera di Fulvia Levi Bianchi» (dal 25 maggio al 26 giugno, alla Fabbrica del Vapore) ripercorre la carriera di questa donna che fu amica di Lucio Fontana, pupilla del gallerista Alexander Jolas e firma molto apprezzata dai collezionisti d'Oltreoceano. Forse quel suo essere fuori dalle righe bella, benestante, sposata-bene, madre di famiglia eppure artista appassionata e testarda - non le ha fruttato in patria la fama che avrebbe meritato e così, nel decennale della morte, la mostra curata dalla figlia Francesca Levi Tonolli e da Luigi Pedrazzi, in collaborazione con Arteutopia e l'assessorato alle Politiche Giovanili del comune, ripercorre con rigore la sua parabola artistica. Natali triestini nel '27, Fulvia Levi Bianchi frequenta Brera e i suoi compagni in aula si chiamano Gianni Dova, Enrico Baj, Giorgio De Chirico, Roberto Crippa, Piero Manzoni, Enrico Castellani. Si dedica alla figurazione, poi studia il Surrealismo: è instancabile. Il suo fascino attira l'attenzione del rampollo di casa Tonolli, grandi industriali dell'acciaio, che le regala una vita dorata: il matrimonio, l'arrivo della figlia Francesca, i frequenti viaggi. Da «signora accasata» Levi Bianchi non dimentica la pittura: continua a lavorare, stringe un sodalizio intenso con Lucio Fontana che la porta a riflettere sull'astrazione, ama mescolare nell'influente salotto di casa sua i vecchi amici di Brera e le amiche con il filo di perle al collo. Gli anni Settanta e Ottanta sono segnati da incontri importanti: Farah Diba, moglie dello scià di Persia, Christiaan Barnard, primo chirurgo a praticare il trapianto di cuore, si fanno ritrarre da lei. E poi tutta la Milano che conta, da Krizia a Fendi, da Armani a Veronesi a Giorgio Strehler. La mostra ripercorre questo periodo effervescente. Sono gli anni di opere come il ritratto di Marilyn Monroe che convincono un gallerista colto e difficile come Alexander Jolas a prendere sotto la sua ala la pittrice milanese: sarà proprio lui a esporre il lavoro di Fulvia Levi Bianchi a New York, accanto a quello di Andy Warhol.

A metà degli anni Ottanta il dolore per la morte del marito e della madre e una dura malattia sarà Umberto Veronesi a salvarla, grazie a varie operazioni si ripercuotono sulla ricerca artistica di Fulvia Levi Bianchi: l'artista si rifugia nell'essenziale, nella forma primigenia dell'uovo da cui la mostra prende il titolo. Fulvia Levi Bianchi ha dipinto fino agli ultimi giorni, anche quando era costretta dalla malattia a stare a letto: i suoi «concetti spaziali» meritano di essere riscoperti anche in Italia.

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