Silurata dai giustizialisti «Mi hanno messa al rogo come Giordano Bruno»

«Quelli sono peggio della Santa Inquisizione. Io mi chiamo Bruna e forse come Giordano Bruno mi hanno voluto dar fuoco in mezzo a una piazza». Proprio non ci sta Bruna Brembilla, l'ex assessore provinciale nella giunta Penati ed ex sindaco di Cesano Boscone, oggi assessore provinciale e donna forte del Pd lombardo a essere fatta fuori dalle liste alla Camera da una campagna del Fatto quotidiano, ripresa da alcuni compagni di partito. «Fuoco amico», l'accusa a chi ha chiesto la sua esclusione nonostante le 1.898 preferenze alle primarie. «Certo che è stata un'ingiustizia. Lo dico io e questa mattina dopo aver letto della mia decisione di ritirarmi, me lo hanno detto in tanti. Ho ricevuto tantissime telefonate e attestati di stima». Anche dai big del partito? «Da quelli lombardi, ma soprattutto dalla donne. Hanno agitato un fantasma che credevo di aver dimenticato».
Quel fantasma era il sospetto infamante di aver avuto contatti con le famiglie calabresi. Ma Brembilla ricorda che già il gip aveva chiesto l'archiviazione. Senza nemmeno approfondimento delle indagini. Pulita. Eppure non è bastato ai compagni che hanno brandito contro di lei gli articoli del Fatto. «Un giornale che conosciamo bene e i cui metodi non mi sorprendono». E i compagni di partito? «Tre in particolare». La voce un po' s'incrina. Delusione e rabbia. «Nando Dalla Chiesa, David Gentili e Pierfancesco Majorino», gli autori della lettera al segretario Pierluigi Bersani per accusarla di aver «trattato voti e appoggi elettorali con esponenti dei clan calabresi nell'hinterland sud milanese, area infestata da forti interessi e gruppi di ‘ndrangheta». Ad avvalorare l'accusa, i rispettivi sigilli da presidente del Comitato di esperti antimafia istituito dal sindaco Giuliano Pisapia, di presidente della commissione Antimafia del consiglio comunale e di assessore ai Servizi sociali con delega ai beni confiscati alle mafie. Un plotone di esecuzione che non ha tenuto in nessun conto indagini e soprattutto sentenze. Costringendola a cedere il suo posto in parlamento a chi ha preso meno voti di lei. «Ma le pare che se avessi avuto qualcosa da nascondere mi sarei messa in gioco? Rischiando di riaprire con la giustizia conti che avevo chiuso?». Ma ci sono le intercettazioni dell'indagine Giove, seppur con una semplice iscrizione nel registro degli indagati. «Il signor Domenico Papalia, come scrivono i carabinieri in un'altra indagine, è semplicemente un cittadino di Cesano Boscone. E io non conosco nessuna famiglia Barbaro, nessuna famiglia Papalia». L'intreccio tra politica, impresa e mafia? «Un esposto anonimo del 2006, un'archiviazione nel 2008 e adesso siamo nel 2013.

Credevo che io e la mia famiglia avessimo già sofferto abbastanza». Resterà nel Pd? «Sono iscritta da trent'anni e sono una donna di partito. Bersani dice che dobbiamo lavorare tutti per l'azienda. Io continuerò a lavorare, ma qualcuno non sta lavorando per la nostra azienda».

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