Era troppo bello per durare: le prime reazioni al progetto di ticket d'ingresso a Milano annunciato dal sindaco Moratti facevano sperare in un consenso trasversale assolutamente inedito ma plausibile, visto che da anni la sinistra invoca quella misura, sbandierando l'iniziativa del sindaco di Londra Livingstone, quel «Ken il Rosso», icona del progressismo anglosassone. Ma era troppo bello e ora arrivano i se e i ma, i benché e i tuttavia che anticipano una battaglia di opposizione anche a quella pollution charge che alla sinistra sembrava piacere tanto. D'altra parte le reazioni subito ostili dei grandi comuni dell'hinterland, generalmente governati dalla sinistra, avevano anticipato questa involuzione: Ds, Margherita e compagnia bella hanno dovuto adeguarsi. Ma proprio queste reazioni, proprio le piccate prese di posizione, ad esempio, di Sesto e Monza, mostrano tutta la strumentalità del contrasto: «Milano non può decidere da sola», «Dobbiamo essere consultati e decidere insieme», «Così si danneggiano i pendolari della provincia»; e c'è perfino qualcuno che chiede una «consultazione popolare». Ma perché mai queste pretese dovrebbero essere limitate ai comuni dell'hinterland? Qualcuno spieghi finalmente a quei sindaci che le quasi 800mila automobili che ogni giorno entrano a Milano non arrivano solo da Sesto o Monza, Cinisello o Trezzano ma anche, e in gran parte, da Bergamo e Brescia, Como e Varese, Novara e Vercelli, Pavia e Piacenza, Verona e Torino. Che si fa, si aprono interminabili consultazioni con tutti i sindaci lombardi e magari anche con quelli veneti, emiliani e piemontesi?
La strumentalità politica di queste proteste è dimostrata proprio dalle reazioni di Sesto e Monza. I sestesi dispongono di ben tre fermate della linea metropolitana 1, meno di tutti perciò sono «costretti» a venire a Milano in macchina.
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