Sinistra e poteri forti in ansia: manca il volto del nuovo patto

Centri sociali e vecchi militanti «rossi» alleati coi banchieri Pisapia era garante di un matrimonio che pare irripetibile

Chi c'è dopo Giuliano Pisapia? Non si tratta di un pronostico ma del tema politico più vero e profondo su cui si arrovella la metà sinistra del campo politico: con il ritiro dell'«avvocato rosso» chi può garantire un nuovo patto fra la sinistra e la Milano della borghesia?

È chiaro a tutti che l'operazione del 2011 ha avuto proprio questo senso. Qualcuno lo ha anche apertamente teorizzato. Perfino al di là delle intenzioni dell'allora candidato, la sua avventura elettorale si è tradotta quattro anni fa in un'operazione costruita (si disse «a tavolino») per tenere insieme certi poteri - molto solidi e centrali - e un elettorale radicale, mobilitato dal «popolo viola» e dalle piazze referendarie del 2011. Il matrimonio, va detto, riuscì piuttosto bene. Per le condizioni politiche del momento (le stesse che portarono all'elezione di sindaci «arancioni» in mezza Italia) e per il profilo peculiare di Pisapia, ex deputato (indipendente) del gruppo di Rifondazione, ma anche esponente della grande borghesia cittadina, figlio di un grande giurista, a sua volta uomo di legge e autentico garantista. Un rampollo della Milano radical chic, direbbe un critico. Con il ritiro di Pisapia - e il tramonto della stagione arancione - quell'operazione rischia di essere irripetibile. L'esplosione del fenomeno Renzi ha cambiato lo scenario. Il premier e segretario del Pd punta a sua volta a tenere insieme sinistra e potere (e finora c'è riuscito), ma su basi del tutto nuove e diverse. Il cruccio del centrosinistra di rito ambrosiano deriva dal fatto che un Matteo milanese non c'è. E non si vede all'orizzonte neanche un clone. Quello che il 2011 aveva unito, dunque, ora gli elettori potrebbero dividere. In modo irreparabile. Anzi, stanno già dividendo.

Ecco come si può leggere, anche, il tema del dualismo fra Giuseppe Sala, commissario Expo, e le primarie. Da un lato c'è un (potenziale) candidato che piace alla Bocconi e risulta primo in un sondaggio del Corriere che testa molti nomi (ma non Matteo salvini), dall'altro c'è un candidato effettivo e ufficiale che - ha detta di molti - punta a raccogliere l'eredità di Pisapia, senza convincere del tutto neanche il diretto interessato, e sembra molto forte alle primarie ma molto debole alle elezioni vere. Stiamo parlando naturalmente di Pierfrancesco Majorino, che non sembra in grado (lo ha spiegato benissimo Sergio Scalpelli) di avere lo stesso ascendente di Pisapia su certi «mondi». Per Pisapia si era mossa la cosiddetta «lobby dei 51», che con nomi di grande peso e prestigio, guidati da Piero Bassetti (banchiere e primo presidente Dc della Regione) scese in campo senza remore. Oggi potrebbero muoversi le stesse forze? Di certo non per Majorino. Per Sala? Probabilmente sì. Ieri Fabrizio De Pasquale di Forza Italia, ha detto che «il Corriere delle banche e dei poteri forti non si limita a raccontare i fatti ma vuole anche condizionare, e pesantemente, le scelte politiche», «ha scelto i suoi candidati e li vuole imporre». Lettura suggestiva. Ma il manager - con quel suo profilo bipartisan - scopre tutto il fianco sinistro dell'alleanza.

Non solo i centri sociali, ovviamente, ma anche Rifondazione e Sel. Ecco il senso di proposte come quella del ticket Sala-Majorino. Ecco il lavorio intorno a figure di borghesi radicali da scovare nelle professioni. Ma lo schema del 2011 è saltato. E un altro pronto non c'è.

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