Cronaca locale

La sinistra rispolvera la Grande Moschea di Sesto San Giovanni

Foggetta, che sfiderà il centrodestra nella corsa a sindaco, è favorevole al progetto

La sinistra rispolvera la Grande Moschea di Sesto San Giovanni

Doveva diventare la «Mecca del Nord Italia», la grande moschea da 2.450 metri quadrati punto di riferimento non solo per i musulmani di Sesto San Giovanni ma anche quelli in arrivo da Milano o dalla Brianza. Cinque anni fa le elezioni cambiarono tutto: a Sesto, dopo 70 anni, il centrodestra strappò la «Stalingrado d'Italia» dalle mani della sinistra. Un trionfo per il sindaco Roberto Di Stefano che bloccò subito la grande moschea che prevedeva anche una biblioteca, un ristorante, la casa dell'imam, minareto e cupola d'oro - dopo che la precedente giunta aveva già trovato un accordo di massima con la comunità islamica.

Il progetto potrebbe però essere rilanciato, specie se alle Amministrative di giugno dovesse vincere Michele Foggetta. Infatti, il segretario sestese di Sinistra italiana che ha sconfitto alle primarie il candidato Pd, Alberto Bruno, staccandolo di solo 27 preferenze, è sempre stato favorevole alla grande moschea. Le barricate del centrodestra nel 2017 furono premiate anche dal Consiglio di Stato, che due anni dopo confermò la decisione del Comune facendo decadere il permesso di costruzione, non attivato nei tempi indicati dal cronoprogramma.

Ma non accumularono soltanto ritardi: il centro culturale islamico, infatti, negli anni ha contratto un debito nei confronti della città pari a circa 320mila euro, oltre al mancato completamento della procedura di avvenuta bonifica. Lo scorso anno Di Stefano tornò di nuovo sulla questione, introducendo nel Pgt dei paletti ancora più stringenti per la realizzazione di nuovi luoghi di culto. Per esempio fissando a 10 metri l'altezza massima degli edifici e aumentando del 200 per cento la dotazione dei parcheggi rispetto alla superficie dell'immobile. Si decise che il volume complessivo non poteva superare i 700 metri quadrati, per un massimo di 300 persone, e con il divieto per spazi commerciali o biblioteche. I fedeli fino a oggi sono rimasti in un prefabbricato in via Luini, la stessa area dove doveva nascere la grande moschea.

Foggetta, dopo le modifiche al Pgt, in uno dei post non rimossi affermò che il progetto, su cui incombeva l'ombra dei finanziamenti dal Qatar, era «affascinante e bello». E quando «tutto è iniziato scriveva io abitavo proprio in via Luini, tra campi rom abusivi, macchine spaccate e incendi. L'arrivo della Comunità islamica con il proprio presidio cambiò tutto e la via che fino a poco prima sembrava un inferno tornò pacifica e tranquilla». Perché internet non dimentica, nemmeno i post cancellati. Nel 2015, dopo l'attentato di Garissa in Kenya morirono 150 persone Foggetta commentò: «Pregare per i morti cristiani? No grazie. Fare differenza tra i morti per religione o razza non è nient'altro che contribuire al lavoro che quei macellai stanno facendo». Tre giorni dopo l'assalto rivendicato da Al Qaida alla redazione francese di Charlie Hebdo il candidato fece un altro post dei suoi, senza condannare i terroristi: «Fatemi capire, quindi per libertà di espressione voi intendete la possibilità di disegnare bestemmie su un giornale?». Nel 2011, invece, criticò la mozione della Lega anti-burqa approvata dal Consiglio comunale a maggioranza centrosinistra.

Foggetta finora non ha toccato l'argomento moschee, ma come fanno sapere dal suo staff l'impegno è di «garantire i diritti imprescindibili riconosciuti dalla Costituzione», anche se qualsiasi progetto che dovesse essere approvato sarà «in linea» con gli assetti della città. Un candidato che imbarazza il Pd e del quale i dem avrebbero forse fatto volentieri a meno. La linea del centrodestra e del sindaco, a caccia del bis alle urne, non cambia: la grande moschea «non s'ha da fare».

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