Sistema Sesto, ecco le prime condanne

E ora arrivano le prime condanne. I primi punti fermi nell'inchiesta sul cosiddetto «sistema Sesto». Sono passati poco più di quindici mesi da quando - era il 20 luglio dello scorso anno - la Guardia di finanza perquisì l'ufficio di Filippo Penati, all'epoca vicepresidente del consiglio regionale, scoperchiando un vaso di malaffare e presunte tangenti all'ombra dell'area industriale dell'ex Falck. Ieri, infatti, il giudice per le udienze preliminari di Monza Giovanni Gerosa ha ratificato i patteggiamenti a un anno e 8 mesi (con pena sospesa) per l'ex assessore Pasqualino Di Leva, l'architetto Marco Magni e l'ex responsabile dello sportello per l'edilizia del Comune di Sesto Nicoletta Sostaro. Ai tre (indagati nella prima tranche dell'indagine condotta dai pubblici ministeri Walter Matelli e Franca Macchia) sono anche stati confiscati 700mila euro (500mila a Magni e 100mila ciascuno per Di Leva e Sostaro).
Il gup, inoltre, ha rinviato a giudizio gli imprenditori Giuseppe Pasini e Piero Di Caterina - i due grandi accusatori di Penati - per i quali il processo si aprirà il prossimo 6 marzo. Accolta dal giudice, infine, l'eccezione di incompetenza territoriale presentata dalle difese dell'immobiliarista Luigi Zunino e del suo avvocato e braccio destro Giovanni Camozzi. Il procedimento, dunque, sarà affidato ai magistrati di Milano.
Con le condanne pronunciate ieri, dunque, la Procura di Monza mette una parola fine a una parte dell'enorme mole istruttoria su cui i pm hanno lavorato nel corso dell'ultimo anno e mezzo. Un fasciolo aperto inizialmente a Milano, dove i magistrati stavano indagando su un giro di false fatturazioni e rifiuti smaltiti illegalmente nel maxicantiere di Montecity-Santa Giulia. Davanti ai pubblici ministeri del capoluogo lombardo si presentarono Di Caterina, imprenditore dei trasporti con un contenzioso aperto con l'amministrazione sestese, e Pasini, cotruttore che denunciò le pressioni ricevute dalla politica per sbolccare la pratica delle aree ex Falck. Il suo racconto - che prende le mosse da quando Penati era sindaco della Stalingrado d'Italia - sarà alla base del grande scandalo che ha travolto l'ormai ex braccio destro di Pierluigi Bersani, tornato a vestire gli abiti «civili» pochi giorni fa dopo aver rassegnato le dimissioni dal consiglio regionale.
È un terremoto giudiziario. Le accuse di corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti contestate all'ex presidente della Provincia mandano in fibrillazione il partito, che scarica quello che un tempo era stato il cavallo vincente della sinistra. Ma la Procura di Monza ha continuato a scavare nella palude sestese. Il numero degli indagati cresce, i filoni di indagine si moltiplicano, a inizio di ottobre arriva la richiesta di rinvio a giudizio per Penati e ieri le prime condanne. Ma non è finita qui.

Pochi giorni fa, infatti, la gdf ha arrestato l'architetto Renato Sarno, considerato il «collettore delle mazzette». Mentre resta aperto il filone più importante: quello sull'operazione Serravalle, una compravendita sospetta portata avanti da Penati e benedetta dal partito, e dietro cui si nasconderebbe la maxi-tangente rossa.

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