di Antonio Ruzzo
Tutta questa smania di non apparire, di non farsi notare, di riciclare abiti, gioielli e griffe. Tutta questa smania di sobrietà, quella sì esibita, fa della prima della Scala un evento assolutamente «normale». É la psicosi del redditometro come ha detto nei giorni scorsi la stilista Raffaella Curiel. Una psicosi parecchio ipocrita però. Perchè comunque esserci resta privilegio di pochi e perchè «comunque esserci» ha un prezzo che è sempre il doppio dello stipendio di un operaio. Però la parola d'ordine è volare bassi. Sindaco, ministri, presidenti, ex presidenti, stilisti, vip e «sciure» varie sembrano tutti lì per caso. Va così da qualche anno, cioè da quando la crisi fa venire i complessi di colpa. Ma ognuno fa i conti con il proprio portafogli e con la propria coscienza. Però la Prima della Scala dovrebbe essere un'altra cosa. La Scala è un marchio da esportazione, un «brand» dicono quelli che parlano l'inglese. Un «capitale» che Milano ha il dovere di conservare ed esportare senza vergognarsi di esibire. Un evento che porta lustro, prestigio ma anche business, cioè danè.
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