Cronaca locale

La stanza di De Pisis e il collezionista vittima dei nazisti

Villa Necchi ora ricostruisce la raccolta di Fossati Bellani, mecenate dell'artista

La stanza di De Pisis e il collezionista vittima dei nazisti

«Mi trovai dinanzi un uomo sconvolto, un uomo nel quale si era spenta ogni luce ideale, un uomo offeso, vorrei dire leso nell'intimità dei suoi sentimenti». Quell'uomo era il collezionista-mecenate brianzolo Vittorio Fossati Bellani, e la descrizione era quella del medico Arnaldo Pozzi che lo visitò i giorni seguenti al suo rilascio da parte del comando tedesco dopo il sanguinoso rastrellamento di via Rasella a Roma, avvenuto il 23 marzo del 1944. Fossati Bellani ebbe l'eccezionale privilegio di scampare alla fucilazione, in virtù del suo status sociale, ma morì ugualmente di crepacuore a pochi giorni dall'arresto, forse anche a causa delle percosse subite.

La sua storia e quella sua raffinata residenza a palazzo Tittoni in via Rasella - che fu precedentemente abitata addirittura da Benito Mussolini prima del trasloco in Villa Torlonia - si legano a doppio filo alla vita e alla produzione artistica di Filippo De Pisis, pittore avanguardista di cui Fossati Bellani divenne intimo amico oltre che mecenate. Un'amicizia che si strinse durante il periodo romano dell'artista nativo di Ferrara - tra il dicembre del 1942 e il gennaio del '43 - complice la passione per l'arte dell'intellettuale figlio di una ricca famiglia di industriali cotonieri della Brianza. Dalla storia di quel sodalizio nasce la mostra inaugurata dal Fai a Villa Necchi Campiglio intitolata «la stanza di Filippo De Pisis» che ricostruisce come una wunderkammer la sala di via Rasella con la quasi intera collezione che ebbe come nucleo centrale opere fondamentali dell'artista ferrarese. Non solo. La mostra, curata da Paolo Campiglio e Roberto Dulio (catalogo Skira), ha recuperato anche i dipinti di Antony de Witt, Ottone Rosai e Alberto Savinio, tutti ben visibili nelle foto d'epoca della casa. Non è stato un lavoro facile, ma l'idea, la ricerca e il lavoro storiografico sono qualità fondamentali che premiano una mostra assai più della sua spettacolarità. La passione del mecenate lombardo per l'opera di De Pisis, durante il fervore intellettuale di quegli anni, si manifestò non soltanto nell'acquisto di nuclei interi di paesaggi e nature morte ma anche nell'ospitalità dell'artista in uno studio all'interno dello stesso palazzo di via Rasella. «Forse si trattava dello stesso appartamento - sottolinea Dulio - dal momento che la vista sopraelevata dei telamoni e della cancellata del palazzo barocco (raffigurata in uno dei dipinti di De Pisis) appare proprio ripresa all'altezza di palazzo Tittoni».

La wunderkammer, che originariamente era colma di arredi e oggetti preziosi, espone in tutto ventidue dipinti di cui sedici di De Pisis; tra questi, spicca il Bacchino (1928) da anni dato per disperso, e per la prima volta il San Sebastiano (1930), soggetto per il quale Fossati Bellani aveva una specie di ossessione, «e che avrebbe dato anche il titolo di un romanzo che De Pisis voleva scrivere nel 1930-1931». In mostra anche una rara serie di dipinti creati dal pittore nella primavera del 1935 a Londra, dove si era recato per un soggiorno di qualche mese, in gran parte acquisiti dall'amico Vittorio al ritorno dell'artista a Parigi.

Ricostruire la stanza è stato un lavoro difficile, si diceva, anche perchè dopo la morte del mecenate la collezione finì smembrata e molte opere furono messe dagli eredi sul mercato, con l'ausilio del grande mercante milanese Ettore Gian Ferrari.

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