Stop alla mega moschea Di Stefano agli imam: «Voglio vedere i bilanci»

Il sindaco apre solo a un piccolo centro locale e vuole smantellare i capannoni di via Luini

Alberto Giannoni

Il neo sindaco di Sesto San Giovani, Roberto Di Stefano, chiede i bilanci al centro islamico. La mega moschea di via Luini è stata al centro di tutta la campagna elettorale, che si è chiusa con la ceduta della ex roccaforte Pd. E il centrodestra, appena insediato nel Comune rosso, porta avanti la sua linea, ispirata all'intransigente rispetto delle regole fissate nella legge regionale cosiddetta «anti-moschee».

Di Stefano non si è mai schierato contro i luoghi di culto in generale. Ma dice un categorico «no» al progetto per un mega centro da 2.400 metri quadrati e 4mila posti, in pratica il più grande del Nord Italia, una «Mecca» che secondo i piani del Comune a guida Pd avrebbe dovuto sorgere in via Luini. Di Stefano, insieme ai partiti che lo hanno sostenuto, ha sempre spiegato di considerare quella moschea sovradimensionata, poco trasparente nei fondi e nei rapporti internazionali, difforme rispetto ai paletti della legge regionale.

Il caso dei finanziamenti per il progetto della mega moschea di Sesto era scoppiato alla vigilia dl voto, quando Di Stefano ha sollevato la questione dei rapporti con Qatar Charity Foundation, ente «benefico» che finanzia moschee in tutta Europa ma secondo il centrodestra sarebbe stato «più volte associato al fondamentalismo islamico» come ha detto la leader di Fdi Giorgia Meloni parlando proprio del caso Sesto.

La polemica pre-elettorale, nei giorni in cui il Qatar veniva isolato sul piano internazionale dagli altri Paesi arabi, aveva suscitato la reazione del sindaco uscente Monica Chittò, che si era presa la briga di convocare i responsabili del centro islamico locale, ottenendo rassicurazioni giudicate «generiche» da Di Stefano, che per tutta risposta aveva chiesto un intervento della prefettura. Un intervento che sarebbe in corso, con tanto di verifiche sull'elenco dei finanziatori, quelli che il neo sindaco vuole avere anche dai diretti interessati, gli imam di via Luini. La situazione attuale nell'area, peraltro, è oggetto di un ulteriore problema: la Regione si è pronunciata, con l'assessore all'Urbanistica Viviana Beccalossi, e ha indicato come sostanzialmente abusiva la struttura oggi insediata in via Luini, considerata provvisoria dal Comune. Di Stefano è disponibile a ragionare di un piccolo centro islamico per la comunità locale, ma nuovo rispetto al capannone. E soprattutto conforme alle norme regionali.

Niente crociate, dunque, ma regole. E Di Stefano sa che su questa linea, non gli imam ma i musulmani «qualunque» sono con lui. Una convinzione confermata dal giudizio di Maryan Ismail, la antropologa ex dirigente del Pd e donna simbolo della lotta all'oscurantismo religioso, che al neo sindaco dà ragione: «Bastava un semplice giro nei bar e nei mercati - ha scritto la leader dei Musulmani laici - per comprendere che la moschea pareva un progetto calato dall'alto e gestito in maniera miope ed arbitraria». «A Sesto, secondo me - dice Ismail - la maggioranza di musulmani ha votato Di Stefano. Non perché siano di destra o perché non vogliono pregare. Noi musulmani sentiamo che questo modo di procedere per imposizioni promuoveva una parte della religione islamica, non garantiva il pluralismo.

Ci sono comunità etniche diverse, musulmani laici, non atei, persone che vivono in modo personale la loro religione. Perché devono seguire codici non loro, per esempio sulle donne? È importante vedere cosa succede dentro le moschee, i matrimoni, le poligamie e anche le predicazioni, ma non solo del venerdì».

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