Storia e blues, John Mayall all'Alcatraz

Capelli bianchissimi, rughe copiose ma magro e segaligno come ai tempi d'oro, il «leone di Manchester» John Mayall arriva all'Alcatraz domani sera (dopo lo show a Bologna e a La Spezia) per ricordare che lui - insieme al compianto Alexis Korner - ha scoperto in Inghilterra il blues nero e lo ha lanciato come «padre naturale» del rock. Ex soldato della guerra in Corea, Mayall a sdoganato il blues dalle fumose cantine di Soho (leggi mitici locali come il Roundhouse) per portarlo al grande pubblico. Nei suoi Bluesbreakers si è formato Eric Clapton, imberbe sulla copertina del celeberrimo album della band e alla sua corte sono passati tutti i futuri giovani talenti inglesi, da Jeff Beck ai Rolling Stones.

Un artista che non ha mai conosciuto flessioni e che - tranne qualche sporadica tracimazione nel funky e nel pop come nell'album Stories) ha sempre seguito la strada maestra senza dimenticare le più spericolate sperimentazioni. La sua lunga sequela di dischi passa da album pugnaci come Crusade e Hard Blues a ricercati incroci di generi e stili come Jazz Blues Fusion, Turning Point, Blues From Laurel Canyon . Ancora oggi la sua ricetta non è cambiata: un occhio alla tradizione, uno sguardo al futuro. Forse suona meno la chitarra dedicandosi alle tastiere e all'armonica, e punge con quel canto agro e sofferto che caratterizza la sua voce, sempre più anarchica e aspra (come blues comanda) man mano che il tempo passa. «Non fatevi ingannare dai capelli bianchi - ammonisce - sono sempre un musicista di strada. Vivo per suonare, non per vivere come molti fanno oggi». Già, lui è al tempo stesso un vecchio stregone e un professionista della musica, uno che non ama i compromessi e le concessioni al commercio, visto che, per amore del blues, è cresciuto nelle cantine, in mezzo ai topi e boicottato dall'industria, finchè questa non scoprì che il blues piaceva ai giovani. Lui ha fatto conoscere ai giovani inglesi (e via via a tutta europa) le magiche armonie di Muddy Waters, le deliranti invenzioni ritmiche di John Lee Hooker (da giovane Mayall apriva i suoi concerti o quelli dell'armonicista Sonny Boy Williamson II), la voce ululante di Howlin' Wolf. Il suo stile, pur radicato nel passato e in questi modelli, ha saputo distinguersi da quello di tutti gli altri e lasciare un segno indelebile. Se gli si chiede il suo segreto risponde: «A 81 anni la maturità e l'esperienza ti consentono di capire subito ciò che vuoi, ma questo sarebbe impossibile senza l'aiuto di chi suona con te. Con questa band siamo incredibilmente creativi e il concerto è sempre diverso, sera dopo sera. Non suoniamo mai i brani nello stesso modo e questo rende lo show fresco ed eccitante.

È un ciclo senza fine e penso che il nuovo album sia una specie di testamento del mio modo di interpretare la musica». Sì, perché Mayall ha da poco inciso Find a Way to Care e, nonostante parli di testamento, non ha nessuna intenzione di appendere la chitarra al chiodo...

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