Cronaca locale

Stupro di Capodanno, altri due arresti. Il giudice: "In carcere per educarli"

I due 17enni egiziani vittime di "gravi lacune familiari". Le ragazze abbracciate per resistere alle violenze del branco

Stupro di Capodanno, altri due arresti. Il giudice: "In carcere per educarli"

Per la prima volta, nell'inchiesta sul Capodanno di violenze in piazza del Duomo viene chiamata in causa la grande assente delle retate scorse: la famiglia. Perché dietro a ognuno dei giovani e giovanissimi che la sera di San Silvestro hanno trasformato la festa in un incubo per undici ragazze, ci sono padri e madri. E il disprezzo verso la figura femminile raccontato dai verbali delle vittime, non può che avere le sue radici in un contesto educativo carente. Se non del tutto assente.

A parlarne esplicitamente è il giudice Paola Ghezzi, del Tribunale per i minorenni che ieri ha disposto la cattura di altri due appartenenti al branco, individuati nei giorni scorsi incrociando descrizioni, vide e foto, riconoscimenti. Sono due diciassettenni nati in Egitto, ma arrivati in Italia da bambini e identificati senza ombra di dubbio come aggressori delle due turiste tedesche che per prime hanno denunciato pubblicamente le violenze carnali cui sono state sottoposte nei pressi della Cattedrale. L'unica misura in grado di impedire che i due ragazzi non colpiscano ancora, scrive il giudice, è il carcere, considerato che «gli stessi risultano inseriti in contesti ad altissimo tasso di devianza e che quindi sembrano non poter fare riferimento ad alcun ambiente familiare ed educativo in grado di contenerli e di fornire positivi modelli educativi». Il giudice parla di «gravissime e radicate lacune educative, sfociate in un atteggiamento di assoluta spregiudicatezza e insofferenza alle regole più elementari di civile convivenza».

Il carcere per i minorenni è una misura rara ed estrema, ma per il giudice in questa caso serve «fornire ai giovani il senso di una risposta adeguata alle gravi violazioni commesse» che permetta loro di «intraprendere un percorso di crescita morale». Che i due abbiano partecipato in prima linea all'assalto alle tedesche non ci sono dubbi. Nell'ordinanza di custodia viene riportato il passaggio del racconto di una vittima che dice di essere stata «toccata sui genitali mentre un'altra ragazza cadeva al suolo e hanno tentato di spogliarmi». «Venivano acquisite - aggiunge il giudice - le riprese di un filmato che dava ragione alla persona offesa. Nell'analisi effettuata dalla polizia giudiziaria si vede chiaramente che le due giovani ragazze visibilmente spaventate e piangenti cercano di abbracciarsi per sottrarsi agli aggressori». Ed ecco quanto racconta una vittima guardando il filmato: «Al secondo 008 riconosco il ragazzo con la giacca nera e il cappuccio arancio che era infatti presente alla mia aggressione e faceva parte del gruppo degli aggressori».

Ormai i ragazzi del branco hanno in buona parte un nome e altri ancora sono destinati a essere identificati. Ma proprio gli ultimi sviluppi dell'indagine raccontano come all'interno della magistratura esistano linee divergenti sulle responsabilità da attribuire a ciascuno dei presenti. In due occasioni, le richieste di custodia avanzate dal procuratore aggiunto Letizia Manella e dal pm Alessia Menegazzo sono andate a sbattere contro il rifiuto del giudice preliminare Raffaella Mascarino e del giudice minorile Ghezzi. Secondo i giudici, pur essendo accertata la presenza sul posto, gli elementi raccolti dalla Procura non permettono di attribuire agli indagati un ruolo specifico. I pm considerano questa linea gravemente errata, perché il reato di stupro di gruppo punisce non solo gli esecutori materiali, ma anche coloro che spalleggiandoli rendono possibile la violenza.

Per questo la Procura ha presentato ricorso al tribunale del Riesame.

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