Stupro di viale Umbria: pena ridotta

Condanna di primo grado a 13 anni "troppo severa" per lo stesso pg

Stupro di viale Umbria: pena ridotta

La condanna di primo grado a 13 anni e quattro mesi di reclusione era stata «troppo severa» secondo lo stesso rappresentante dell'accusa, il sostituto pg Massimo Gaballo, e così al presunto stupratore di viale Umbria sono stati scontati più di tre anni di pena. Si tratta della violenza sessuale del 20 agosto 2006 nell'area dismessa tra viale Umbria e Porta Vittoria, quando alle 6 del mattino una donna di 40 anni venne assalita da uno sconosciuto. Un vero cold case. Dopo oltre 14 anni di buio nelle indagini, nel gennaio del 2021 è stato arrestato dai carabinieri un algerino 50enne: il suo Dna, finito nella Banca nazionale dopo un arresto per altra causa, era risultato lo stesso di quello repertato sulle prove dello stupro.

Le motivazioni della riduzione di pena decisa dalla Prima sezione della Corta d'appello non sono ancora note, i giudici hanno accolto la richiesta del sostituto pg di una condanna a dieci anni. Tuttavia la sentenza contrasta con il racconto dettagliato e terribile della vittima, che per oltre 14 anni ha convissuto con il trauma della violenza e con l'ormai certezza che il responsabile non sarebbe mai stato preso. E con il contesto di aumento dei casi di stupro dell'ultimo periodo in città.

L'uomo, difeso dall'avvocato Rosemary Patrizi Dos Anjos, risponde di violenza sessuale aggravata e rapina aggravata. Il processo si è svolto con il rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena. La vittima si trovava in viale Umbria per raggiungere la fermata dell'autobus e andare al lavoro in ospedale. L'uomo, senza fissa dimora, irregolare in Italia e con precedenti penali e di polizia per reati contro il patrimonio e contro la persona, le si era avvicinato chiedendo l'ora. Tutt'intorno il deserto di una domenica all'alba nella settimana di Ferragosto. L'aveva afferrata e trascinata tra i cespugli, costretta a spogliarsi, minacciata di morte con una grossa pietra e violentata ripetutamente per un'ora. Prima di allontanarsi aveva fumato e le aveva infine portato via la catenina, il cellulare e 20 euro. Nonostante sul terreno avesse lasciato numerosi reperti disseminati di tracce biologiche, da quel giorno lo stupratore diventò un fantasma. Le indagini, inizialmente serrate, vennero poi archiviate senza risultati e quei campioni di Dna spediti dal Ris di Parma alla Banca dati nazionale. In attesa del match arrivato a fine 2020: le tracce genetiche trovate sui mozziconi e sui tamponi vaginali avevano finalmente un nome e un cognome.

Da qui il via alle ricerche del 50enne che era noto alle forze dell'ordine e non si era mai allontanato da Milano. Quando la donna stuprata è stata messa davanti alla fotografia dell'indagato, ha rivissuto l'incubo e ha riconosciuto senza dubbi il proprio aguzzino nonostante i molti anni trascorsi.

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