Sul Suv uccise e fuggì: appello conferma la pena

Il pregiudicato 33enne sconterà 7 anni e mezzo ai domiciliari. Il pm: «Tentò un depistaggio»

La condanna a 7 anni e mezzo di carcere è stata confermata in secondo grado per Franco Della Torre, il 33enne che circa un anno fa passò col rosso a oltre 115 km/h a un incrocio a Milano e travolse con il suo Suv l'auto di Livio Chiericati e fuggì lasciando agonizzante il 57enne, morto in ospedale. La quinta sezione della Corte d'Appello, presieduta da Giovanna Ichino, ha quindi accolto la richiesta del sostituto pg Laura Gay di confermare la pena per omicidio stradale aggravato dalla fuga e per non aver prestato soccorso, inflitta con rito abbreviato dal gup Natalia Imarisio, nell'ottobre dell'anno scorso. Il difensore dell'imputato, l'avvocato Gianluca Fontana, aveva chiesto di rideterminare la pena per l'uomo, che si trova agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico da sei mesi, dopo la sentenza di primo grado.

Nel corso delle indagini coordinate dal pm Francesco Cajani, una perizia cinematica ha accertato che Della Torre, verso le 7 di mattina del 30 aprile scorso, viaggiava a 130-150 chilometri orari e che passò pure con il rosso, già scattato da 9 secondi, all'incrocio tra viale Monza e via dei Popoli Uniti, investendo l'auto della vittima, manager con la passione del jazz, il quale stava andando a lavorare. Della Torre, con precedenti penali per reati contro il patrimonio, dopo lo schianto e un primo accenno di fuga era tornato in macchina per prendere il cellulare, stando al racconto di un testimone, e poi era scappato a piedi. Secondo la ricostruzione del pm, andò prima a casa e poi in ospedale per farsi curare le lievi ferite riportate e là venne arrestato dagli agenti. Il giudice, tra l'altro, nelle motivazioni parla anche di «embrionali tentativi di depistaggio delle indagini posti in essere» da Della Torre poco dopo l'incidente, mentre «Livio Chiericati giaceva ancora agonizzante nel suo veicolo».

L'uomo, infatti, avrebbe dato un «input» alla compagna, spiega il gup, con due telefonate per «escogitare una soluzione». Il giorno dopo la sentenza di primo grado il giudice ha concesso i domiciliari con il braccialetto elettronico all'imputato.

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