Telefoni criptati e nascondigli i trucchi dei narcos calabresi

Arrestate 21 persone che importavano gli stupefacenti dalla Colombia per conto di un clan di 'ndrangheta

Cristina Bassi

Il gruppo era molto ben organizzato e il meccanismo era oliato. Basti dire che in un'occasione ci sono volute 24 ore ai carabinieri per trovare i contanti nascosti in un'auto, tanto bene era congegnato il doppio fondo ricavato dietro un fanale. E che i corrieri erano tutti muniti di Blackberry con sim statunitensi capaci di criptare i messaggi in chat e di cancellare da remoto le conversazioni in caso di arresto. Evenienza che per 21 persone, molte con precedenti penali, si è concretizzata all'alba di ieri. Le manette sono scattate nelle province di Milano, Monza e Brianza, Perugia, Alessandria, Catanzaro, Roma, Varese, Vercelli. L'inchiesta affidata al Nucleo investigativo dei carabinieri di Milano e al Ros è stata coordinata dai pm della Dda Ilda Boccassini (aggiunto) e Cecilia Vassena. Il gip Maria Cristina Mannocci ha disposto le misure di custodia cautelare.

«Una delle operazioni anti droga più importanti degli ultimi anni», sottolinea il comandante provinciale dei carabinieri Canio Giuseppe La Gala. «Che ha riattualizzato il potere della famiglia di 'ndrangheta dei Gallace in Lombardia», aggiunge il vice comandante del Ros Roberto Pugnetti. Alcuni degli arrestati infatti sono affiliati alla cosca attiva a Guardavalle, nel Catanzarese, a Nettuno e Anzio, non lontano da Roma, e ad Arluno, nel Milanese. Le accuse sono a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, con l'aggravante di aver voluto favorire la 'ndrangheta. L'organizzazione, con a capo Francesco «Ciccio» Riitano, 36enne nato a Guardavalle e residente in Germania, importava dalla Colombia grosse partite di cocaina. Le macchine con i nascondigli creati da carrozzieri amici facevano la spola con l'Olanda e la Spagna imbottite di contanti da consegnare ai cartelli. I carabinieri hanno sequestrato in diverse occasioni, tra il 2013 e la fine del 2016, 490mila, 480mila, poi 360mila euro. La trattativa più recente riguardava uno scambio da 1 milione e 250mila euro. Dal Sudamerica arrivavano carichi di droga da centinaia di chili.

La base operativa era in via Martiri della Libertà ad Arluno, un vero «fortino» con una sola via d'accesso (da qui il nome dell'operazione, «Area 51», come la zona militare impenetrabile nel Nevada), magazzino e sede per le riunioni. Il gruppo aveva anche reclutato, con un anticipo di 3mila euro a testa, due tecnici dell'aeroporto di Malpensa. Si tratta di due cognati sposati con altrettante sorelle colombiane, uno impiegato di una compagnia di charter e l'altro meccanico di una ditta di manutenzione. Grazie ai loro «disegni industriali» la 'ndrangheta voleva importare la cocaina nascosta nella carlinga degli aerei. «Serve una persona pulita, come documenti, come tutto...

gli intestano una ditta per un anno, non comprano macchine e gli danno uno stipendio al mese», spiega a un complice uno degli indagati in un'intercettazione a proposito della ricerca di un prestanome. Consegnando i preziosi cellulari anti spia l'indagato Alfio Di Mare assicura: «Questi non funzionano da telefono... non puoi fare una foto, non puoi parlare... mandano solo le e-mail... arrivano dal Canada».

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