Paola Fucilieri
Emiliano Bezzon è tra i fortunati che hanno più di una vita. A Milano è rimasto il suo ricordo di «capo dei ghisa», carica che ricoprì tra il 2006 e il 2009. E ruolo che ricopre a Varese, dove oggi è comandante della polizia locale. Incarico che assolve con il suo solito certosino impegno, ma che non gli impedisce di cimentarsi con il romanzo giallo. Naturalmente lui - 52 anni, nato e cresciuto a Gallarate, una laurea all'Università Cattolica in Giurisprudenza, moglie insegnante di matematica e due figli grandi - non ne vuole proprio sapere di sentirsi chiamare scrittore, anche se uno dei tomi realizzati per la pubblica amministrazione, un manuale di polizia giudiziaria, è giunto alla sua quarta edizione.
«Io? Ho semplicemente scoperto una discreta facilità di scrittura - sdrammatizza -. Il mio mito resta Renato Olivieri, un gigante inarrivabile, non so se mi spiego. Per il resto mi metto al pc di casa quando non viene usato da altri: la domenica, il sabato pomeriggio, qualche volta la sera».
Tuttavia la sua ultima fatica, Le verità di Giobbe, (Eclissi editrice, collana «I Dingo», 259 pagine, 12 euro) firmata con la collega toscana Cristina Preti (un master post laurea in Politiche per la sicurezza urbana) è un giallo che si legge tutto d'un fiato, ambientato nella Milano di adesso, con riferimenti a personaggi reali (ad esempio un noto giornalista-scrittore, un'altrettanto famosissima anatomopatologa e un poliziotto figlio di un indimenticabile eroe della lotta alla mafia) e per questo ancora più intrigante. Un libro che svela l'amore viscerale per questa città e una conoscenza non solo certosina di luoghi, strade, locali, ma anche delle dinamiche più profonde di quel potere che solo a Milano s'intreccia così con la politica, il denaro, le dinastie finanziarie, la notorietà più appagante seguita dalla caduta agli inferi del terribile e anonimo vagabondaggio negli antri più squallidi di una città che dal velluto dei salotti più ambiti e dalle lenzuola di seta può diventare in un attimo sporca, violenta, impietosa. Senza dimenticare il tema più seducente del libro, affrontato di rado nei romanzi ambientati nei nostri giorni: la potenza della massoneria femminile che, nell'opera di Bezzon, assume una consistenza appena accennata - e forse per questo così stuzzicante - comunque fondamentale per il plot. Trama nella quale le donne sono personaggi spesso macchinosi e un po' contorti, ma senz'altro di fulgida intelligenza: intuitive e spesso più lucide degli uomini (tranne il famigerato Giobbe, naturalmente...). Prima fra tutte la protagonista-investigatrice, la giovane tenente dei carabinieri Daria Mastrangelo, creatura «nata» nel precedente e primo romanzo della coppia letteraria Bezzon-Preti, Breva di morte, uscito l'anno scorso.
Sarebbe bello ora raccontare di Bezzon che, anonimo e giovane universitario, riuscì a portare «mostri sacri» come Camilla Cederna, Giampaolo Pansa, Gina Lagoria o Umberto Simonetta ai «Lunedì d'autore del cabaret caffé Teatro» a Verghera, frazione di Samarate (Va).
Dove lo stesso Bezzon, dopo averli notati al «Banana Pub» di Ossona, riuscì a far esibire il duo cabarettistico «Hansel e Strudel» al secolo Giacomo Poretti e Marina Massironi. E poi anche Gioele Dix, Claudio Bisio e Giobbe Covatta. Questa, però, è solo un'altra delle sue tante vite.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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