Trapianto di fegato, Niguarda docet

E ora la tecnica adottata diventa il modello per i colleghi all'estero

Tre anni fa al Niguarda veniva eseguito il primo trapianto di fegato a cuore fermo in Italia. Da allora sono seguiti altri venticinque interventi, pari al «50% della casistica effettuata su tutto il territorio nazionale», spiega Luciano De Carlis, direttore della chirurgia generale e dei trapianti. Volendo fare un bilancio dell'esperienza triennale della struttura, il chirurgo conferma che la donazione di organi a cuore fermo, che sta avendo oggi un notevole impulso, «se sviluppata con impegno e attenzione può contribuire anche nel nostro Paese ad aumentare in modo significativo le possibilità di trapianto». Questo tipo di procedura, infatti, è da sempre stata difficile da eseguire nelle strutture italiane a causa della legislazione nazionale che per l'accertamento di morte prevede l'osservazione di un'assenza completa di attività cardiaca e di circolo per un periodo di tempo di 20 minuti che negli mentre negli altri Paesi dell'Unione variano, invece, da 5 a 10 minuti.

La soluzione, però, è stata comunque trovata. Il donatore dopo il periodo necessario ad accertare il decesso viene collegato a una macchina per la circolazione extra-corporea (Ecmo). In questo modo si mantengono gli organi vitali e si ha il tempo per realizzare le analisi necessarie a fotografare il loro stato di salute e valutarne l'idoneità al trapianto. In caso di esito favorevole, si procede al prelievo posizionando gli organi in macchinari speciali che li riperfondono con una soluzione ossigenata a bassa temperatura, intorno a 6-7 gradi.

«I risultati - conferma De Carlis - ci dicono che gli organi trapiantati con questi accorgimenti danno migliori risultati in termini di ripresa funzionale.

Alla luce di questi esiti ora anche i colleghi all'estero stanno allargando l'utilizzo di questo trattamento combinato di paternità italiana.

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