Paola Fucilieri
Uccidere una persona rivoluziona una vita, ucciderne due la rovina per sempre. Quando i rimorsi dilaniano l'anima il quotidiano si riduce a un pallido tentativo di sopravvivenza, peraltro solitamente senza successo. Leonardo Giuseppe Cereda, rappresentante milanese di 44 anni, una moglie e un figlio, in carcere a San Vittore da qualche giorno, sta scontando due pene: quella di 5 anni e due mesi inflittagli dalla Corte di Cassazione che, lo scorso 28 giugno, ha rigettato il ricorso presentato dai suoi penalisti per ottenere un nuovo processo e che qualche giorno fa lo ha portato in carcere per mano dei carabinieri della sezione «Catturandi», guidati dal capitano Marco Prosperi del nucleo investigativo del comando provinciale di Milano. Quindi per lui c'è una pena più intima, quella del tormento che con ogni probabilità lo accompagnerà fino alla fine dei suoi giorni. Una sorta di «fine pena mai» della mente e dell'anima, insomma. Il rappresentante è accusato infatti di omicidio colposo con l'aggravante dello stato di ubriachezza (il suo tasso alcolemico superava di almeno tre volte quello consentito) perché responsabile della morte di due studenti siracusani, amici sin dall'infanzia e venuti a Milano per studiare all'università Bocconi, Gabriele Chierzi, 23 anni e Claudio Caruso, 22. All'alba dell'8 ottobre 2011, una domenica, Cereda li falciò con la sua Fiat Cinquecento mentre i ragazzi, a bordo di uno scooter, attraversavano l'incrocio tra viale Romagna e via Pascoli. Nonostante i tentativi di rianimazione di Cereda, fermatosi subito dopo lo scontro per prestare soccorso ai ragazzi, Chierzi, che era alla guida del ciclomotore, morì sul colpo, mentre Caruso, portato in condizioni disperate dall'ambulanza al San Raffaele, spirò qualche ora più tardi. Secondo la ricostruzione, probabilmente, stando alla regola della precedenza a destra, Chierzi non rispettò l'obbligo e invase l'incrocio proprio mentre arrivava la vettura di Cereda che nello scontro sbalzò i ragazzi per diversi metri.
Una tragedia infinita per le famiglie, giunte trafelate a Milano solo per riconoscere i cadaveri dei loro ragazzi e riportarli in Sicilia per i funerali. Una disperazione sorda per il rappresentante, conscio di essere reduce da un ritrovo ad alto tasso alcolico con alcuni amici e di guidare al momento dello scontro, come rilevò la polizia locale, oltre il doppio della velocità consentita in città, 106 chilometri orari per la precisione. La patente gli venne sospesa per sei mesi, quindi gli fu riconsegnata per permettergli di lavorare.
All'arrivo dei carabinieri Leonardo Cereda, non si è opposto all'arresto. Ha chiesto invece di poter collaborare dal carcere come testimonial per diffondere il messaggio forte sulla pericolosità dell'alcol alla guida da un differente punto di vista, quello di colui o colei che l'incidente mortale lo ha causato.
Il rappresentante desidera quindi essere strumento di veicolazione del messaggio che scoraggia a guidare chi ha bevuto troppo o ha fatto uso di stupefacenti.Certo Chierzi, Caruso e tanti altri non torneranno alle loro famiglie, no. Ma anche i rimorsi di Cereda non si limiteranno a tormentarlo per sempre, ma a cercare la via del perdono. Almeno da se stesso.
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