I commercianti: «Troppe tasse, sfiducia e burocrazia. La politica crea un clima di incertezza»

Il crollo dei consumi, le tasse, la burocrazia, una generale mancanza di fiducia che porta a tirare avanti con il freno a mano tirato. E una certa inadeguatezza delle politiche degli enti locali, Comune in testa. Eccoli gli anelli della catena che sta strangolando le attività dei commercianti milanesi, quale che sia il loro settore. La previsione di Confesercenti - una «desertificazione» dell'intera rete del commercio al dettaglio in dieci anni - non è, dicono in coro, esagerata.

«Dieci anni? Anche meno», dichiara convinto Arnaldo Marsili, che gestisce da una vita una sartoria in via Venini (e che dei sarti di Milano è stato anche Presidente). Il negozio è di sua proprietà: «Ho fatto un investimento quando potevo, con sacrificio, ma sono riuscito a portare avanti il mio progetto». Però, fa notare, «la politica non aiuta gli artigiani, li punisce con l'Imu e altre tasse. Pretende che chi è sempre stato in bottega, a 80 anni, si faccia la posta certificata. Assurdo».

L'ipotesi della chiusura nel giro di qualche anno non la esclude Antonio Solenne, titolare con il fratello di una gioielleria in via Spallanzani. Il calo negli acquisti, racconta, è evidente: «Prima la gente comprava oggetti in oro per battesimi o comunioni, ora solo argento. Per fortuna ci sono i turisti, che ci salvano». Mentre «da fuori Milano non viene più nessuno, per colpa delle domeniche a piedi». Nel frattempo i costi di affitto sono triplicati. Ecco perché, se non si smuove qualcosa, «potremmo chiudere».

La critica allo stop alle auto la domenica arriva anche da Franco Marini, proprietario di una negozio di abiti maschili, uno dei pochi a gestione italiana in via Paolo Sarpi. «Va bene chiudere in Duomo, o in una via come questa, che da quando è pedonalizzata è più bella, ma non in tutta la città. Quest'amministrazione vede i commercianti come dei ladri, quindi non li aiuta. In passato, invece, c'erano più bandi pubblici per sostenere le botteghe e il commercio in generale».

Una «maggiore flessibilità e visione commerciale» da parte di Palazzo Marino è ciò che auspica anche Giorgio Pellegrini, presidente dei macellai milanesi e titolare di una nota «boutique della carne». Dove, oltre ad acquistare, si può anche mangiare. «Ma poiché si tratta di “somministrazione non servita”non posso tenere dei tavolini fuori», spiega. E commenta: «È un'occasione sprecata, anche in vista di Expo, per me come per tutti gli esercenti: far mangiare il turista a tutte le ore renderebbe più internazionale la città». Senza contare che «con un servizio al tavolo assumerei un quarto dipendente, oltre ai tre che ho già».

Per Alvise Andolfo, proprietario di un negozio di articoli di arredamento in via Melzo, la chiave di tutto sta proprio nella

«fiducia». Che, sostiene, «si crea con una città più pulita e più sicura. Sarei disposto a pagare di più per averla. Ma invece di dirci “tenete duro, con Expo ce la faremo”, chi governa crea un clima di incertezza e terrore».

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