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Vallanzasca, nuovo impiego nella storica ricevitoria

Vallanzasca, nuovo impiego nella storica ricevitoria

L'ex capo della mala milanese, Renato Vallanzasca, condannato a quattro ergastoli e 260 anni di carcere, tuttora detenuto in regime di lavoro eterno nel carcere di Bollate, dal 1 dicembre lavora nella più antica ricevitoria d'Italia, nel centro di Milano.
Lo rivela il settimanale Oggi, che nel numero in edicola oggi (anche su www.oggi.it) mostra il Bel René mentre, preciso, attento e velocissimo, controlla le schedine e procede alle giocate. Salvo ritagliarsi qualche minuto per una solitaria pausa pranzo in una pizzeria della zona. Al cronista di Oggi, l'ex bandito della Comasina, da 38 anni in carcere, si rivolge con molta cortesia e pochissime parole: «È un bel posto, non voglio perderlo. Le chiedo di non farmi domande. Se parlo mi cacciano. Mi è già capitato. Non posso più permettermelo».
Vallanzasca, che in passato si è più volte rivolto ai giovani chiedendo di non essere in nessun modo mitizzato o imitato, nel marzo 2010 aveva lavorato in una pelletteria, poi in una ditta informatica, infine, nell'estate scorsa, in una boutique di Sarnico, sul Lago d'Iseo. Impiego che aveva perso a causa delle polemiche suscitate dalla sua presenza nella provincia di Bergamo, a poca distanza da Dalmine, dove nel 1977 in un conflitto a fuoco furono uccisi due poliziotti della Stradale.
René è stato infatti un bandito dalle caratteristiche quasi letterarie, che ha ispirato persino sceneggiature cinematografiche. Ma per centinaia di persone la sua banda è solo un drammatico ricordo luttuoso. Circa un mese fa i familiari delle vittime della banda della Comasina hanno presentato l'Associazione maresciallo Luigi D'Andrea. Che, prendendo spunto proprio dalla tragedia di Dalmine, riunisce tutti i parenti delle vittime della banda della Comasina.

Per dire un secco «no» alla recente richiesta di grazia inoltrata dai parenti del bandito - che sta scontando 4 ergastoli e 295 anni di reclusione - al presidente Napolitano. Che gliel'aveva già negato l'atto di clemenza nel 2007.

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