«Perché Gabriele D'Annunzio scrisse Francesca da Rimini? La scrisse nel momento culminante del suo wagnerismo antagonista». Il Vate si schierò «contro» il grande compositore di Lipsia che prima tanto aveva amato. Cronaca di una tragedia dannunziana diventata libretto d'opera (attraverso le trasformazioni di Tito Ricordi), cronaca di una «vicenda» che accompagnata dalle musiche del compositore trentino Riccardo Zandonai andrà in scena al Teatro alla Scala di Milano, Prima rappresentazione domenica 15 aprile. A raccontare alcuni passaggi di questo lavoro e il D'Annunzio di quegli anni il professor Vincenzo Borghetti, docente di Storia della musica all'Università di Verona; la sera del debutto operistico al Piermarini sarà sul palco della Rai per la diretta radiofonica che condurrà personalmente. «Nel Fuoco, il romanzo uscito nel 1900, il Vate contrappone a Bayreuth e al dramma moderno nordico wagneriano il modello del teatro italiano». Ovvero, per esempio, la tradizione che va dal compositore Monteverdi alla Camerata de' Bardi. Successivamente si cimenta con la tragedia in questione che poi, nella versione modificata, verrà messa in musica da Zandonai da Rovereto. «La tragedia, una realizzazione italiana di un soggetto tristaniano - aggiunge l'esperto - come si diceva, una risposta latina al Tristano e Isotta». Ci si chiederà anche come mai il grande poeta e drammaturgo abbia scelto proprio questo soggetto. «In effetti - continua lo studioso - avrebbe potuto optare per altri, ma sceglie proprio questo perché c'è una gloria nazionale importante, che è Dante Alighieri con i suoi Paolo e Francesca». Il testo originale viene rappresentato per la prima volta a Roma, correva l'anno 1902. Un sforzo artistico e produttivo immane che viene finanziato dall'attrice Eleonora Duse. Il risultato piace molto a Ricordi che lo vuole subito, con l'obiettivo di impegnarlo per il teatro d'opera. D'Annunzio chiede una grossa cifra, intorno alle 20mila lire. «Del resto - afferma il professore - D'Annunzio sapeva di essere un grande poeta letterario, con un'ottima esposizione internazionale, protagonista delle cronache del mondo della comunicazione di quel periodo; e faceva valere tutto questo un po' come succede oggi nel cinema». Arriva il momento della «trasformazione» del testo che inizia nel 1912 (la Prima sarà due anni dopo). L'editore musicale, ottimo conoscitore del teatro d'opera, sapeva esattamente dove posizionare il bisturi per il suo scopo. E così fa, ma nonostante le «sforbiciate» alla fine il libretto risulterà trasparente rispetto al testo di partenza. «No, non viene riscritto radicalmente - specifica lo storico - resta un lavoro dannunziano».
Infine entra in scena la musica. Zandonai si mette a comporre prima che Tito abbia iniziato a lavorare sui versi originali. «Il compositore scrive la parte più bella - conclude il professor Vincenzo Borghetti - quella del finale del primo atto».
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