Per quasi vent'anni, la moglie e i figli di Alfredo Cappelletti hanno dovuto convivere con quel timbro sula morte del marito e del padre: «suicidio». «Ma noi - dice ieri Alessandro Cappelletti - la verità l'abbiamo sempre saputa»: e cioè che Alfredo non si era suicidato nel mondo improbabile stabilito dai giudici, ma era stato ammazzato. Così quando ieri la Corte d'assise dà loro finalmente ragione e condanna l'assassino all'ergastolo, Alessandro e sua madre non dicono nulla, non vanno davanti alle telecamere. Si siedono su una panchina di pietra fuori dall'aula. E piangono.
Bastano tre ore alla Corte presieduta da Giovanna Ichino per ribaltare la ricostruzione su cui finora si era arenata la giustizia. La sera del 16 settembre 1998 l'imprenditore Alfredo Cappelletti venne trovato morto negli uffici della sua azienda, la Innova Skills di via Malpighi: a trovarlo e a lanciare l'allarme fu Alessandro Cozzi, il suo collaboratore più stretto; e la morte venne frettolosamente archiviata come suicidio. Ma tredici anni dopo lo stesso Cozzi - uomo colto, cattolico, mediatico, esperto di human resources - ammazzò a coltellate un altro imprenditore che aveva avuto la sventura di lavorare con lui, Ettore Vitiello. E quel delitto, le sue «assordanti analogie» con l'uccisione di Cappelletti, costrinsero a riaprire il vecchio caso, come la famiglia chiedeva da tempo. A uccidere Cappelletti, dicevano, era stato Cozzi, nello stesso modo e per gli stessi motivi per cui nel 2011 avrebbe ucciso Vitiello.
Non è stato un processo facile. Tanto tempo passato, tanti tabulati ormai irrecuperabili. Ma netta, precisa, la memoria degli investigatori della Squadra Mobile che nel 1998 avevano compiuto i rilievi sul luogo della morte di Cappelletti. «Per noi quello non era un suicidio», hanno detto; ricordando di avere chiesto invano alla Procura di mettere sotto controllo i telefoni di Cozzi, che per loro era l'unico, inevitabile sospettato. Il pm si tenne la richiesta di intercettazioni nel cassetto, senza nemmeno inoltrarla al gip.
Ieri, Alessandro Cozzi ascolta la sentenza impassibile, chuso nella gabbia. Per l'uccisione di Vitiello se l'è cavata con una condanna a quattordici anni; se il vecchio caso non fosse stato riaperto, tra non molto avrebbe potuto iniziare a chiedere i permessi premio, poi la semilibertà. Ora viene condannato al carcere a vita. Eppure non si scompone, e conversando col suo avvocato si lascia andare a un sorrisino fatalista.
Per i familiari di Cappelletti e per Luciano Brambilla, l'avvocato che in questi anni ha combattuto accanto
a loro, è una pagina di dolore che si chiude. Ma per i familiari di Ettore Vitiello, ucciso da Cozzi tredici anni dopo, il dolore si riapre e si aggrava: se Cozzi fosse stato fermato allora, Vitiello sarebbe ancora vivo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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