Viaggio nei sestieri di Milano strenne da... meneghinologo

Lo studioso Bruno Pellegrino presenta per Natale il cofanetto di volumi dedicati a memorie della città

Antonio Bozzo

Sul suo biglietto da visita, oltre che medico, Bruno Pellegrino potrebbe far stampare «meneghinologo». Conosce ogni angolo, ogni pietra, ogni cortile e tutte le storie, quantunque remote, di una città complessa come Milano. Tra gli illustri, furono meneghinologi Bonvesin de La Riva, Carlo Porta, Carlo Dossi, Alberto Savinio, Gian Emilio Gadda e due campani: il giornalista Gaetano Afeltra e il poeta Alfonso Gatto. Citiamo quest'ultimi in virtù del valore, e per ricordare a Pellegrino - nato a Napoli, venuto a Milano bimbetto di cinque anni che il motto da lui adottato, attribuito a Indro Montanelli, è vero: «Milanesi non si nasce, si diventa». Chi è diventato o sta diventando meneghino, non si lasci scappare il magnifico cofanetto Così era Milano (edizioni Meravigli, 125 euro), sei volumi sui sestieri della città, nei quali Pellegrino ha profuso una sapienza fatta di storie, dati, documenti, memorie, foto, dipinti. Staremmo per dire nebbie e odori, tanto è viva la descrizione: par di viaggiare a piedi o sul tram per scoprire Milano metro dopo metro. Il cofanetto è la strenna ideale, da regalare o regalarsi.

Ma come è venuta a Pellegrino l'idea di dedicare un volume a ogni tradizionale sestiere, ossia le porte Vercellina, Ticinese, Romana, Orientale, Nuova, Comasina? «Mi è venuta un Ferragosto di anni fa. Passavo per via Lanzone, deserta. La stradina mi rivelò scorci prima ignorati: un portale barocco, la fronte di una chiesuola, un campanile. Mi prese la voglia di saperne di più. Erano monumenti minori, ma quanta genuinità evocavano rispetto alla magniloquenza del Duomo e della Scala, della Galleria e del Castello descritti in tanti libri. Fu così che cominciai a esplorare androni, logge e poggioli, archi, colonne; a studiare toponimi e storie minime. Molte fotografie nei libri sono mie. Per l'opera mi ci sono voluti sei anni, uno per sestiere. Ho lavorato di sera e nei fine settimana: mai ho trascurato la mia prima professione, medico di base».

Il vagabondaggio di Pellegrino - lo immaginiamo mentre interroga portinaie, decifra iscrizioni, spia oscure viuzze, ascolta i passi su scaloni nobiliari, medita sui ponti dei Navigli - ci restituisce una città che resiste alla furia del moderno piccone e lascia impresse tracce indelebili. Pellegrino ha esplorato Milano con l'occhio di chi (oltre a scriverne) ha letto i più importanti libri sulla città. «Come le splendide pagine di Carlo Alberto Blanche, Otto Cima, Paolo Mezzanotte, Ugo Nebbia, Carlo Romussi, Paolo Valera, per dirne alcuni. Ma è l'indagine sul campo che dà massima soddisfazione. Ricordo una custode in via Santa Maria Valle: mi condusse all'ultima sbiadita traccia del vicolo di Sant'Alessandrino.

O il portinaio squisito, mantovano, che mi introdusse a Palazzo Fagnani, in via Santa Maria Fulcorina, scortandomi per l'ampio scalone d'onore che portava agli appartamenti di Antonietta Fagnani Arese, la contessa immortalata dal Foscolo nell'ode All'amica risanata. Oppure la vecchina che non voleva credere non esistesse più il pasquee di gajnn, slargo inghiottito dall'odierno Cordusio. Sparito come tanti vicoli, ce n'erano novanta, che serpeggiavano nella Cerchia dei Navigli».

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