«Ciao, sono il nonno... Buon compleanno piccola»: a quasi 90 anni Franco (il nome è di fantasia) non si sarebbe sognato di parlare dentro un tablet. Eppure per lui, come per gli altri pazienti Covid positivi dell'ospedale, il momento della videochiamata a casa è diventato il più atteso. Perché peggio di essere ricoverati per una malattia che terrorizza c'è solo doverla affrontare in solitudine. Le visite ai malati di Coronavirus sono vietate, è necessario. Ma l'isolamento e la mancanza per giorni e giorni di un viso e di una voce amati possono ostacolare la guarigione.
Per riannodare il filo delle famiglie spezzate, all'ospedale Humanitas c'è il servizio di videochiamata in reparto. Prima avviene la separazione del paziente dal familiare, in pronto soccorso se sono arrivati con l'auto. «Parlo con i familiari - racconta il dottor Stefano Ottolini -, chiedo informazioni sul malato. Poi sono costretto a chiedere loro di andare a casa e di non tornare». È qui che realizzano di non poter sapere quando rivedranno il proprio genitore o coniuge. Sanno però che due volte al giorno riceveranno la telefonata di aggiornamento del medico che sta curando il loro caro. Un momento spesso di sfogo. «E di lacrime - spiega Monica Porli, responsabile Customer experience - se comunichiamo che il tampone è risultato positivo e che la vita familiare è stravolta. Ma è pure l'occasione in cui acquistano fiducia verso di noi».
Una volta in reparto, i pazienti vedono girare tra i letti gli infermieri e i medici che si sono offerti volontari per aiutare chi non ha o non sa usare lo smartphone (i dispositivi sono arrivati anche da Wind-3 e MediaWorld). La prima è stata Martina, una giovane perfusionista. Ormai è una messaggera esperta, in corsia la chiamano l'Angelo dei Covid positivi. «Quando ha cominciato - continua Porli - aveva un po' di timore. A fine giornata però era sopraffatta dall'emozione. È lei che ha insistito con il signor Franco, che non ne voleva sapere della tecnologia». Dopo tre giorni di completa solitudine degli affetti, l'anziano non credeva di poter rivedere in video le nipotine. Ieri un altro nonno ha chiesto di fare ben quattro telefonate. Sono anche i medici curanti a incentivare le chiamate. Non era mai successo che in ospedale fosse totalmente assente il contatto fisico o almeno visivo con i familiari. Le conseguenze sulla tenuta dei malati sono forti. «Rompere l'isolamento li aiuta a credere nel futuro», sottolineano gli esperti. I parenti a casa poi si sentono persi e impotenti. «Come le figlie di due coniugi ricoverati, la moglie intubata, che neppure si potevano vedere tra loro - racconta ancora Monica Porli -. Sentivamo quelle due adolescenti completamente smarrite. Finché la madre non è potuta tornare in reparto e anche suo marito è stato subito meglio. O come la dottoressa in servizio a Cremona, che non si aspettava di riuscire a vedere dal reparto il volto del padre che è qui da noi».
L'ospedale mette inoltre a disposizione il counselling psicologico e l'assistenza religiosa per le principali confessioni. Un modo per i familiari di sentirsi vicini al malato è infine il cambio biancheria, il secondo servizio più gettonato. Nei pacchi finiscono, con gli indumenti, telefoni, libri, poesie e tanti disegni dei bimbi.
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