Se volete andare in giro a fare le multe alle auto in divieto di sosta, dovete usare il computer palmare che l'Atm vi ha dato in dotazione; e la sera dovete andare a casa e metterlo sotto carica, anche se dite che è un po' pesante. Per ventidue «accertatori» che si erano ribellati all'obbligo, arriva ieri una sentenza batosta da parte del tribunale del Lavoro. Legittimo l'ordine di usare i palmari, legittimo lo spostamento ad altre mansioni deciso da Atm nei confronti dei ventidue dopo il loro rifiuto. E il giudice ordina ai dipendenti anche di risarcire all'azienda undicimila euro di spese legali.
Lo scontro era iniziato nel marzo scorso quando Atm - che ha da tempo in appalto dal Comune il servizio di controllo delle infrazioni al codice della strada - aveva introdotto l'innovazione tecnologica. Destinatari erano ausiliari del traffico e accertatori della sosta, le due categorie di addetti a questo incarico: con poteri un po' maggiori i primi, con competenza solo sulla sosta irregolare sulle strisce blu i secondi. A tutti erano stati dati in dotazione dei palmari: modo semplice e veloce per immagazzinare dati e immagini della vettura «fuorilegge», e per generare poi il verbale di contestazione. L'utilizzo dei palmari era stato concordato con i sindacati del settore, che avevano ottenuto un bonus di 900 euro annui per ogni lavoratore.
Ma una trentina (poi ridottisi di qualche unità) di accertatori rifiutarono di portarsi a casa i nuovi attrezzi, paventando la loro «pericolosità per la salute psicofisica» e i danni alla «sfera di riservatezza»: ritenendo evidentemente che potessero venire usati per spiarli. Atm reagì spedendoli in blocco a fare un altro lavoro: assistenza alla clientela. I ventidue non si arresero e fecero causa all'azienda, sostenendo di essere stati oggetto di «indebite pressioni, quali colloqui personali dal contenuto intimidatorio»: alcuni dirigenti si sarebbero rivolti loro, fuori dall'orario di lavoro, con frasi come «ci avete pensato?», avete famiglia», «non la passerete liscia». E sostenevano che la nuova mansione era «inutile».
Già in agosto il tribunale aveva rifiutato il reintegro d'urgenza dei ventidue, anche perché nessuna delle presunte pressioni indebite da parte dell'azienda era stata dimostrata. E i giudici avevano ritenuto che la lettera in cui Atm ammoniva gli accertatori che se non ritiravano i palmari sarebbero finiti nei guai «non contenga una minaccia bensì l'avviso della ritenuta rilevanza disciplinare del comportamento dei lavoratori».
La causa tra i ventidue e l'azienda è andata avanti: e ieri arriva la sentenza che chiude il caso con una sconfitta netta dei ricorrenti.
Il giudice Francesca Saioni, della sezione Lavoro del tribunale, respinge tutte le richieste dei ventidue: il ritorno a fare multe, una stanza per conservare e caricare i palmari. E arriva la condanna a pagare le spese.
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