La miliardaria che fa tremare il regime cinese

«La madre di tutti gli uiguri», così ama definirsi Rebiya Kadeer, l’eroina che si batte contro la colonizzazione cinese della sua terra. Per gli uiguri, che la abitano in nome dall’Islam, è il Turkestan orientale, un tempo indipendente. La Cina l’ha ribattezzata Xinjiang, una delle sue province più remote, ma ricche di idrocarburi.
Minuta, capelli lunghi neri spruzzati d’argento, la Kadeer è nata povera nel 1948 fra i monti Altai. Da giovane faceva la lavandaia, ma rimboccandosi le maniche è riuscita a mettere in piedi un piccolo impero imprenditoriale. Negli anni Novanta poteva contare su un patrimonio di 30 milioni di euro. Niente male per una povera uigura, che aveva saputo sfruttare le opportunità offerte dallo stesso regime cinese. La giovane imprenditrice possedeva negozi, società commerciali ed aveva una fabbrica nel vicino Kazakhstan, ex repubblica sovietica dell’Asia centrale.
I funzionari di Pechino cominciarono ad usarla come specchietto per le allodole facendola parlare alla quarta conferenza mondiale sulle donne voluta dall’Onu, nel 1995 a Pechino. La Kadeer venne anche eletta a una specie di Senato cinese. Un organo consultivo della Repubblica fondata da Mao ovviamente dominato dal partito comunista.
L’unica spina nel fianco era il marito della signora fuggito negli Stati Uniti, dove non nascondeva il suo appoggio all’indipendenza del popolo uiguro. Nel 1999 la Kadeer venne arrestata e condannata a cinque anni di galera. Prima dell’arrivo in Cina del segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, nel 2005, la prigioniera eccellente è stata rilasciata. A Washington la Kadeer si è ricongiunta con parte della famiglia. I cinque figli rimasti in patria hanno subito pestaggi e vessazioni dalle autorità cinesi, sempre smentite.
Presidente del Congresso mondiale degli uiguri, che raccoglie i dissidenti riparati all’estero, la Kadeer è diventata ben presto la nemica numero uno del regime di Pechino. Ieri Li Wei, direttore del Centro per gli studi antiterrorismo di Pechino, l’ha accusata di aver fomentato la rivolta di questi giorni nello Xinjiang. La sua grave colpa sarebbe quella di essere in contatto con il Dalai Lama e di aver detto dopo i disordini del 14 marzo 2008 in Tibet, che «qualcosa di simile sarebbe potuto accadere nello Xinjiang».
Secondo la Kadeer, che ha tenuto ieri una conferenza stampa a Washington, «testimoni hanno confermato che i manifestanti sono stati uccisi a colpi d'arma da fuoco e picchiati fino alla morte dai poliziotti cinesi. Alcuni sono stati schiacciati sotto i mezzi blindati».
Proposta più volte per il premio Nobel per la pace, l’eroina del popolo uiguro non punta all’indipendenza. La Kadeer è pronta a dialogare con la Cina per ottenere una vasta autonomia per il suo Tibet islamico. Dalle frange minoritarie degli uiguri, legate ad Al Qaida, ha sempre preso le distanze.

Nella sua biografia intitolata “La guerriera gentile” ha scritto: «Voglio essere la madre di tutti gli uiguri, la medicina che lenisce le loro sofferenze, il fazzoletto che asciuga le loro lacrime».
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