Le mille forme (ma inimitabili) del grana

Le mille forme (ma inimitabili) del grana

La forma perfetta e tondeggiante. La trama granulosa, le scaglie quasi friabili. Buono sempre. All'inizio come alla fine del pasto. Il gusto è inconfondibile, è quello del re dei formaggi. Il più acquistato e il più mangiato. Che - ci piace sottolineare - i francesi non sono ancora riusciti a imitare. Stiamo parlando dell'italico grana.
Ma il formaggio grana non è uno solo. Ci sono i «Dop» (denominazione di origine protetta, la sigla traduce la tipicità del prodotto, nato e lavorato in una precisa zona geografica) che sono il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano e il Trentin Grana e poi diversi formaggi satelliti, grana anch'essi, come il formaggio Piemonte o il Granone lodigiano.
Tutt'altro che scimmiottature, «non sono brutte copie» ribadisce Franco Biraghi che nel 1991 ha creato l'azienda Valgrana: «Sono formaggi diversi». Il formaggio Piemonte, ad esempio, è più dolce e pastoso, il tempo di stagionatura varia dai 12 ai 13 mesi, ma il sapore è un altro. Già, il formaggio è un prodotto vivo. Dipende dai pascoli e da come si nutrono le vacche. Il formaggio Piemonte, nasce nelle province di Cuneo e Torino, il Grana Padano abbraccia un territorio più vasto, compreso fra la Lombardia, il Veneto, Piacenza, il Trentino e il Piemonte. Il Parmigiano è solo di Parma, Reggio Emilia, Modena o Bologna. E «diverso» è anche il Granone Lodigiano, pasta gialla (dovuta allo zafferano) con leggera venatura verde e la goccia che esce ad ogni taglio, lo si produce solo a Borghetto lodigiano e a Orio Litta.
La storia del formaggio grana affonda le sue origini in epoca medievale.
Quando i monaci cistercensi dell'abbazia di Chiaravalle, a sud di Milano, furono costretti a trovare un sistema per conservare il latte nei mesi freddi. In primavera e in estate, con il fieno abbondante, le mucche ne producevano in gran quantità, ma d'inverno il latte scarseggiava. Lo si conservava in enormi vasche ricoprendolo di sale. Da qui al primo formaggio il passo fu breve.
La natura ci ha messo il territorio e la materia prima, l'uomo le sue capacità, perfezionandole sempre più, fino ad arrivare ai disciplinari di produzione, l'insieme di regole che vanno rigorosamente seguite per ottenere l'etichetta «Dop».
Dal mangime delle vacche, all'orario di mungitura (il Granone prevede sia il latte del mattino che quello delle sera), dai mesi di stagionatura al peso delle forme che si aggira sui 38-40 chili.
Quanto piace il grana? Secondo il consorzio Grana Padano gli italiani ne consumano in un anno due chili a testa. A dispetto della crisi economica continuano a mangiarlo, «anche se - ci spiega Franco Biraghi - abbiamo ridotto il peso delle confezioni, su precisa richiesta della grande distribuzione».
Se ne compra meno ma dalle tavole non manca mai. Biraghi rilevò un piccolo caseificio a Scarnafigi, nel cuneese, che nel 1991 produceva 18 forme di grana al giorno.
Oggi, dallo stabilimento che è diventato di 14mila metri quadrati (coperti) ne escono 600 al dì. «E stiamo cercando di aumentare la produzione del prossimo triennio, per arrivare a 1.100» confida Biraghi.
La crescita della Valgrana è rispecchiata anche dal fatturato, passato dai 30milioni390mila euro l'anno del 2010 ai 41milioni394mila euro dell'anno successivo.
Non solo grana, però.

Dallo stabilimento del cuneese escono anche le specialità Dop locali, il Raschera, la Toma piemontese, il Bra tenero e il Bra duro, ma il re dei formaggi che rappresenta il 90 per cento dei formaggi venduti, è sempre il formaggio Piemonte, anche in casa Valgrana.

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