Mimì il pescatore con la casa sull’acqua e l’incubo del fuoco

A Peschici resiste l’uomo del trabucco, che vive di pesca da una vita senza essere mai andato in barca. «Questo scoglio vale il miglior appartamento di Roma. Ho avuto paura solo dell’incendio»

Mimì il pescatore con la casa sull’acqua e l’incubo del fuoco

nostro inviato a Peschici

Il vecchio e il mare. Sulla terra ferma. Da 76 anni Mimì vive di pesca, senza essere uscito mai al largo con una barca. Butta le sue reti standosene con i piedi bene ancorati sullo scoglio, dove ha sempre vissuto e dove trova ogni giorno le sue antiche certezze. Nelle sue vene corre il sangue di una terra particolare, quel Gargano che si spinge nelle acque come uno sperone dello stivale, ma che da sempre è a vocazione agricola e contadina. «Credo sia proprio per questo - racconta sorridendo, il volto sferzato dal vento - che i nostri bisnonni abbiano inventato il trabucco. Un po' per paura del mare, un po' perché non avevano i denari per comprarsi la barca. Così, hanno aguzzato l'ingegno...».
Mimì e il suo trabucco: la storia sta tutta qui, nella Baia di San Nicola ancora scheletrita dal furibondo incendio dell'estate scorsa, all'ingresso di Peschici. Di quel giorno, Mimì conserva un ricordo indelebile: «Ho capito subito che il fuoco sarebbe sceso fino al mare. Io ho cominciato a bagnare il legno del trabucco sin dal mattino, per evitare che le fiamme intaccassero l'impalcatura. Quando l'incendio è arrivano lì, sopra lo scoglio, sono sceso sotto la piattaforma, con i piedi nell'acqua. I carabinieri mi hanno trovato lì. Da solo non me ne sarei mai andato: non potevo abbandonarlo...».
Mimì guarda la sua creatura ed esprime armonia. Nei suoi occhi c'è la piena soddisfazione di una vita vissuta. Classe '32, Mimì è cresciuto qui, sullo scoglio, dormendo dentro un pagliaio. Pochi metri sotto, il trabucco del papà, che l'aveva ereditato dal papà suo, che l'aveva a sua volta ereditato dal papà... La famiglia Ottaviano non ha uno stemma proprio, non ne ha alcun bisogno: ma se l'avesse, dovrebbe riprodurre l'anima della propria storia, questa costruzione in legno che si proietta a sbalzo sul mare, con la piattaforma in legno flessibile di abete, con le "antenne" che sostengono le reti in un legno più rigido, di quercia e castagno. Spiegarne il funzionamento non è facile: nella sua semplicità, è geniale come un progetto leonardesco. La rete sta di sbieco in acqua e accoglie il passaggio del pesce: in primavera aguglie, seppie e sardine, a luglio cefali e marmore, a settembre ricciole, a novembre spigole, orate e anguille. Non chiude mai, la bottega del trabucco. Pesca a ciclo continuo. Durante la lunga giornata, ogni tanto il trabucchista si arrampica a sbalzo sull'antenna - Mimì ancora oggi ci va con agilità da ragno - e controlla se il sacco è pieno. In caso positivo, al centro della piattaforma parte il recupero: bisogna girare una grossa vite, come asini aggrappati alle leve di un frantoio. Quando il pesce è a secco, saltellante e rilucente nel centro della rete sospesa a mezz'aria, con un lunghissimo retino viene portato a terra. Qui, le abili mani della signora Lucia, moglie di Mimì, cucinano per i clienti del suo ristoro. Casa e bottega, tutto sullo scoglio. Per i turisti, l'unico modo di mangiare pesce fresco davvero, senza trucchi e senza inganni. Non esiste menù con i soliti asterischi, che avvertono «può essere surgelato».
Il trabucco di Mimì passa il secolo di vita. È uno dei più antichi del Gargano. Solo altri due, qui a Peschici, della stessa epoca. C'è stato un tempo, negli anni Ottanta, che la Capitaneria di Mattinata né ordinò la demolizione: non sapendo definire questa pesca, non si poteva inquadrarla nelle concessioni demaniali. Mimì ricorda quei giorni: «Ho detto loro: dovete venire voi, a demolire. Ma mandate il più imbecille, perché io lo strangolo sul posto...».
Ride di gusto. Ma neanche tanto. Questa costruzione ardita e rugosa, che dà una sensazione di precarietà ma è solida come roccia di mare, rappresenta tutta la sua vita. Mimì è artista del legno e depositario di un'arte antica, unica al mondo. L'hanno chiamato a costruire trabucchi in tutta Italia, a Livorno come a Genova. Ma soltanto qui le sue creature hanno trovato finalmente una consacrazione: da qualche anno, il Parco del Gargano ha avviato un bellissimo progetto di recupero, restituendo dignità e vitalità alla gloriosa tradizione. I trabucchi stanno rinascendo su tutto lo sperone, ormai sono una quindicina. I proprietari sono consorziati e collaborano nella gestione. Per Mimì, un sogno che si realizza: nessuno più cullerà l'idea geniale di demolire queste opere sublimi. Per l'Italia, una volta tanto, la consolazione di saper conservare gelosamente la sua storia migliore.
Sarà ancora lunga, la storia del trabucco. Mimì ha già trasferito i suoi segreti ai due figli, Carlo e Mario. I due giovani, 44 e 36 anni, hanno a loro volta tre bambini, anch'essi cresciuti tra scogli, reti e vecchie travi. Mimì osserva la bella famiglia e giustamente se ne compiace. Rivolgendo poi lo sguardo alla vastità di questo mare bellissimo, i capelli scompigliati dalla brezza fresca, ricorda quando da ragazzo dovette partire in cerca di fortuna. Era il dopoguerra, anno '52: «Andai in Canada per una dozzina d'anni e feci pure il minatore». Ma poi il richiamo di Peschici e del trabucco si fece irresistibile. Tornò sullo scoglio, diede una risistemata ai legni, e ricominciò la vita vera che gli mancava. Da quella volta, non se n'è più andato.

Aveva compreso una cosa molto importante, la stessa che ancora oggi mi ripete, guardando la sua creatura come si guarda a un figlio diletto: «Mi potrebbero portare nell'appartamento più bello di Roma o di Milano, ma io lo so come finirebbe: dentro quelle case, ci morirei il giorno dopo. Lontano dal trabucco, non è più vita...». Osservando i suoi occhi sereni color del mare, di una semplicità abissale come il mare, non trovo un solo motivo sensato per dargli torto.

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