Ministri, guardatevi Gomorra

È una modesta proposta al premier Silvio Berlusconi e ai suoi ministri che domani terranno il primo consiglio della nuova legislatura a Napoli: perché non andate a vedere Gomorra, il film che il regista Matteo Garrone ha tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Saviano, il libro più venduto degli ultimi anni? È una proposta costruttiva, forse inusuale, ma non scandalosa. Ora confortata anche dalle parole del neoministro dei Beni culturali Sandro Bondi che l’ha visto a Cannes: «È un film di grande impegno civile. Un film straordinario». Tenere il primo Consiglio dei ministri nella città-simbolo della crisi e del dramma italiano è un atto denso di significati, un gesto di grande condivisione: riportare le istituzioni nella città della monnezza e della camorra, nella città dove le istituzioni hanno patito le sconfitte più gravi e drammatiche.
Nei primi giorni del suo insediamento Berlusconi ha già compiuto qualche gesto sorprendente, a cominciare dall’apertura all’opposizione, manifestando volontà di dialogo e di superamento di steccati ideologici che fino a qualche mese fa sembravano insormontabili. Oltre l’ideologia c’è la logica del fare, c’è la realtà quanto mai critica da governare, ci sono le riforme da avviare. Anche certi steccati culturali sono da dichiarare obsoleti. Gomorra, il libro prima e il film ora, è un prodotto dell’intellighenzia di sinistra. Ma oltre l’etichetta e la matrice ideologica, c’è la realtà - magari esasperata, ma nella sostanza verosimile - con cui fare i conti. Nei giorni scorsi si è polemizzato sui film che rappresentano al Festival di Cannes l’Italia della paura, della camorra e della corruzione. Tutto vero. Ma ci chiediamo: dobbiamo temere più un film sulla camorra o la camorra? Dobbiamo lavare, moralisticamente, i panni sporchi in casa come se la situazione di Napoli non avesse già fatto il giro del pianeta, oppure fare i conti anche con quel pezzo di mondo sottratto alle istituzioni e controllato dai clan? Che senso ha contestare a registi e scrittori film o libri di denuncia civile, quando la realtà rischia di essere ancora peggiore di quella dipinta in quei libri e film? Un grande statista si vede anche nella capacità di farsi carico di questa realtà, indicando una via d’uscita. Andando a Napoli a misurarsi con l’emergenza spazzatura, con l’immigrazione clandestina, con la delinquenza dei rom il governo Berlusconi dà dei segnali forti. Perché non darne uno ancora più forte, facendo un passo avanti e cominciando a pensare anche all’emergenza camorra, quattromila morti negli ultimi trent’anni?
Gomorra è solo un docu-film, ma quanto istruttivo; «un pugno nello stomaco» come ha detto Bondi, per noi che viviamo lontani da quelle morti, dai clan dei casalesi, dalle guerre di Scampia. Omicidi quotidiani, rimossi anche dai giornali perché ormai divenuti routine. È istruttivo l’intercalare tra i mandanti e i killer, tra i capibastone e i pusher, tra i trafficanti dello smaltimento dei rifiuti: «Tutto a posto», si ripetono. Dopo una mattanza nel centro estetico, dopo l’eliminazione di picciotti burbanzosi, dopo un omicidio a freddo. «Tutto a posto» esprime l’autostima dei clan, vuol dire controlliamo tutto, imprevisti compresi. È il linguaggio della complicità nel territorio dell’anti-Stato: periferie come favelas, case-tugurio, paludi diventate poligoni di tiro, spiagge di agguati mortali. Un universo gerarchizzato del male, un cosmo dominato dalla paura che trasmette allo spettatore un senso di oppressione soffocante.
Dopo aver visto Gomorra vien da chiedersi se esista e quale sia la via d’uscita da una situazione così.

Basteranno i commissari speciali? O servirà ricorrere all’esercito come si fece qualche anno fa con i Vespri siciliani? Sono decisioni, tutt’altro che semplici, che competono ai nostri governanti. Ecco perché, preparando il consiglio di Napoli, due ore al cinema potrebbero non essere buttate via.
Maurizio Caverzan

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