Ministri in pressing, Tremonti scende a patti

RomaQuando Berlusconi fa il suo ingresso nella sala di palazzo Grazioli ci sono già tutti. Il Cavaliere saluta i leghisti Bossi, Calderoli, Bricolo, Reguzzoni e Rosy Mauro; stringe la mano a Letta, Bonaiuti, Verdini, La Russa, Cicchitto, Gasparri, Corsaro, Ghedini, Quagliariello e Viespoli; lo stesso fa con i «responsabili» Moffa e Sardelli, e poi... «Ministro», l’appellativo usato nello stringere la mano a Frattini, Brunetta, Galan, Alfano e Romano. «Oh... C’è anche il signor Tremonti». Qualcuno ride, qualcun altro guarda per terra. Ci pensa Giulio a stemperare la tensione: «Tranquillo Silvio, non mi dimetto». Adesso possono ridere tutti e Berlusconi e Tremonti si abbracciano. Che Tremonti arrivi all’appuntamento con gli occhi addosso non è un mistero. Ma già prima di salire a palazzo Grazioli fa intendere che non ha nessuna intenzione di mollare l’esecutivo: «In tasca ho solo una manovra molto seria e responsabile che sarà oggetto di un dibattito molto serio e responsabile - dice ai cronisti che gli chiedono se è pronto al passo indietro -. E sarà una manovra nell’interesse dell’Italia e degli italiani».
Che sia il tavolo della pace o della tregua è presto per dirlo ma di fatto l’atteggiamento del super ministro dell’Economia è quello giusto. Questa volta Tremonti si sente solo. Inizia a parlare ripetendo che l’Europa ci guarda e i mercati pure; che non possiamo permetterci di sforare sui conti pubblici e che la manovra di 47 miliardi entro il 2014 va fatta assolutamente. Queste le cifre: 2 miliardi per il 2011, 5 per il 2012 e 20 per i due anni successivi. Insomma, tutti sanno che i tagli vanno fatti per forza. Ma è sul come e quando che partono le frizioni. Forse il ministro più chiaro e brutale è Brunetta: «Caro Giulio - il senso del suo intervento - sappiamo tutti che le cifre sono quelle. Però nel 2012 sono in scadenza i decreti legge 112 e 78 e, dal giorno dopo, si cambia registro». Traduzione: adesso basta con i tagli lineari imposti da via XX Settembre. Il che non vuol dire che i singoli dicasteri potranno scialacquare, anzi. «Individuiamo una cifra e poi i singoli ministri decideranno come e dove usare la forbice. Ma lo dobbiamo decidere insieme, non tu». Insomma, il potere del ministro dell’Economia va limitato.
Tremonti questa volta ascolta. Si aggiusta gli occhiali ma ascolta e annuisce. Come fanno del resto tutti gli altri. «Serve collegialità», gli dicono più o meno all’unisono. E Tremonti acconsente. Attorno al tavolo si tira un sospiro di sollievo. «Anche sui tagli devi sentire le nostre proposte», gli dicono un po’ tutti i presenti. Il ministro Romano, tifoso del machete agli sprechi, sponsorizza una norma «ammazza casta»: ossia amputare gli stipendi dei ministri che prenderebbero così soltanto l’assegno da parlamentare. I leghisti premono perché si allentino i paletti del patto di stabilità interno agli enti locali così che i comuni virtuosi possano spendere quello che hanno in cassa; e il responsabile Moffa chiede di creare un meccanismo di controllo che garantisca che le Regioni spendano effettivamente i contributi che arrivano loro dall’Europa.
Il ministro ascolta, prende appunti, e il solo fatto di non essersi arroccato sulle sue posizioni viene salutato da tutti come un gran risultato. «Il ministro dell’Economia ha recepito la collegialità sottolineata da tutti», valuta contento il collega Frattini. E Tremonti riconosce che «questa maggioranza sosterrà la manovra».
Un duro colpo a chi aveva sognato che il ministro dell’Economia potesse essere il grimaldello adatto per far saltare il governo Berlusconi. Tant’è che si mormora che il più irritato dall’esito del vertice sia stato proprio il leader dell’Udc Casini. Il quale, infatti, ha sibilato: «Questa manovra la può firmare solamente Scilipoti». Tutto a posto, quindi? Per ora sì. A rovinare parzialmente il clima da «volemosebene» una battuta del sottosegretario Crosetto che le agenzie di stampa rilanciano proprio in un contesto da Mulino Bianco. «Tremonti? Un brasato o un bollito», avrebbe detto il sottosegretario alla Difesa.

«Non è così: alla domanda a che cibo paragonavo Tremonti ho solo risposto che più che ai pizzoccheri somigliava a un piatto più nobile come il brasato o il bollito». Un chiarimento avvenuto anche in un faccia a faccia a Palazzo Chigi.

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