«La via a mio fratello Bettino? Bene, ma Milano arriva tardi»

«Tu vuoi che rinnovelli disperato dolor che il cor mi preme già pur pensando pria ch’io ne favelli...» dice Rosilde Craxi rispolverando un verso dantesco prima di cominciare l’intervista. Lei non è cambiata da quando era la «first lady» di Milano: semplice, diretta, parla senza circonlocuzioni. Abita ancora nell’appartamento di famiglia e conserva intatto quel grande dolore dovuto non solo alla scomparsa del fratello, ma alla via crucis che lui e tutta la famiglia hanno subito.
I media sono sommersi di immagini di Bettino. Come vive questo momento?
«Non provo alcuna particolare meraviglia per la rivalutazione della sua memoria. Comunque meglio tardi che mai. Però bisognerebbe revisionare tutta la vicenda di tangentopoli e capire cosa ha prodotto».
Cioè?
«Lo sfascio e le persecuzioni che ancora oggi continuano. Per fortuna Berlusconi si è tirato su le maniche e ha tenuto in piedi questo Paese. Non sappiamo quindi cosa sarebbe successo se avesse vinto la cosiddetta “macchina da guerra”».
Cosa intende dire?
«Bisognerebbe chiederlo a quelli che la “guerra” la facevano a suon di avvisi di garanzia per abbattere il loro peggior nemico, Bettino Craxi».
Il riconoscimento per la sua statura di statista?
«Meglio tardi che mai. Da sei anni, ad Aulla, c’è una statua a grandezza naturale di Bettino nella piazza centrale che porta il suo nome. Ma in tutto il Sud ci sono piazze e vie Bettino Craxi. Milano, la sua città d’adozione, arriva un po’ in ritardo».
Come vede l’Italia di oggi?
«Non è diversa da quella dei tempi di Tangentopoli. Con una sola differenza: adesso siamo arrivati all’attentato ad personam. I capi d’accusa e i processi non bastano: si stanno rivelando troppo lenti. Molto più rapido eliminare fisicamente il premier per riconquistare il potere perduto. Purtroppo vedo un’Italia con i soliti lati neri che ci perseguitano da sessant’anni: volgarità, mancanza di rispetto umano, di ideali, maleducazione a tutti i livelli».
Come ricorda gli anni dell’esilio di Bettino?
«È un ricordo che mi fa star male. Sono stati dieci anni di persecuzioni. Però quando andavo a trovarlo ad Hammamet e partivo da un’Italia nemica dove il suo nome suonava “diabolico”, trovavo un’atmosfera in Tunisia dove lui era un personaggio mitico, amato, rispettato da tutti. Lo chiamavano Ms. le President e gli avevano tributato una guardia d’onore ventiquattro ore al giorno davanti alla sua casa: una guardia degna di un grande Premier».
Secondo lei a cosa attribuire l’odio per suo fratello?
«Questo “odio” scaturiva dal fatto di rappresentare un ostacolo per l’ascesa al potere del Pci. Speravano che eliminando Bettino il suo elettorato affluisse nel Pci. Ma quell’elettorato si è riversato in Forza Italia. L’attuale governo ha quattro ministri di estrazione socialista: Tremonti, Brunetta, Frattini e Sacconi».
Come vede il «giustizialismo mediatico» che infesta il Paese?
«Nocivo e ormai noioso. È offensivo per le istituzioni e i politici non dovrebbero partecipare alle trasmissioni televisive dove vengono regolarmente offesi e irrisi. Un altro esempio della società incivile di oggi».
Se Bettino Craxi fosse ancora al potere, come si comporterebbe verso trasmissioni come quelle di «AnnoZero» o «Ballarò»?
«Bettino non interferiva mai. La famosa lottizzazione della Rai era gestita da tutti i partiti. So per certo che non ha mai esercitato pressioni come afferma anche Biagio Agnes in un’intervista sul Corriere della Sera di oggi 4 gennaio».
L’ultima volta che lo ha visto?
«All’ospedale, due mesi prima che morisse. Era sempre lui, allegro, realista. Non si poteva pensare che la fine fosse così vicina e improvvisa.

Il mio rimpianto più doloroso è di non aver capito che non lo avrei più rivisto vivo».
Cosa le disse?
«Che non voleva tornare nell’Italia dove era stato tanto offeso e dove nessuno aveva riconosciuto i suoi meriti».
m.alberini@iol.it

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