Cultura e Spettacoli

«Mio padre, un disorganico geniale e ribelle»

Tra i curatori dell’Antimeridiano di Luciano Bianciardi, accanto a Massimo Coppola e Alberto Piccinini, c’è anche la figlia dello scrittore, Luciana, che dal padre ha preso non solo il nome ma anche in buona parte il carattere. È lei che ha voluto con forza quest’opera, tanto da rinunciare, per vederla finalmente stampata, a un’introduzione di Umberto Eco a lungo promessa e mai mandata, e di pubblicarla - visti i costi per un libro di oltre duemila pagine - con il marchio congiunto Isbn ed ExCogita, cioè la casa editrice che lei stessa ha fondato nel 2000 per ristampare molti titoli «di famiglia» ormai scomparsi dalle librerie.
Luciana Bianciardi, perché un Antimeridiano?
«Perché trovo vergognoso che ci sia un Meridiano dedicato persino a Camilleri ma non a mio padre. E visto che Mondadori non si è mai fatta avanti, allora mi sono mossa da sola. Tanto più che anche un romanzo come La vita agra è praticamente introvabile oggi. Del resto, non si può dire che mio padre, in vita come dopo la morte, sia stato molto “corteggiato” dai critici e dagli editori. I critici hanno iniziato a parlare di lui dopo La vita agra, ma perché non potevano ignorare il successo di pubblico che ebbe il libro, e degli altri romanzi scrissero pochissimo: de La battaglia soda dissero che era un’opera minore, e di Aprire il fuoco che era troppo difficile, anche se papà la considerava la sua cosa migliore. E gli editori, che pure cavalcarono il suo successo, dopo la sua morte, nel ’71, lo hanno dimenticato per quasi vent’anni. È stato solo grazie alla biografia di Pino Corrias, Vita agra di un anarchico, uscita nel ’93, che si è tornato a parlare di Luciano Bianciardi. E che molti giovani lo hanno scoperto».
Perché un silenzio così pesante?
«Perché mio padre aveva rotto l’anima a tutti, come dice anche Giorgio Bocca, a destra e a sinistra soprattutto. Basti pensare ad alcune pagine de La vita agra o de Il lavoro culturale, e penso alla parodia impietosa della sezione di partito o dei critici militanti, per immaginarsi come furono accolti i suoi libri in certi ambienti. Non si fece molti amici. E il risultato è che per pubblicare l’opera omnia si è dovuto aspettare tanto. Ma in fondo credo che a mio padre non sarebbe piaciuto un Meridiano, troppo “istituzionale”. Sì, penso che sarebbe contento di vedersi in copertina, con la benda da pirata sull’occhio, di questo Antimeridiano».
Inutile che le elenchi tutte le definizioni date di Luciano Bianciardi: «giovane ribelle», «profeta inascoltato», «anarchico», «intellettuale arrabbiato»... Chi era davvero suo padre?
«Un disorganico, per volontà e per carattere. E distonico: un giorno tutto carezze e sorrisi, un altro irritato e malinconico. Soprattutto per me è stato un grandissimo giornalista, con una capacità unica di fotografare una persona cogliendo certi tic, il modo di parlare o di vestire e con un occhio straordinario per il particolare, l’immediato. Quando durante la guerra a Foggia rimane sotto un bombardamento, cosa fa? Racconta dei suoi compagni che si fanno la barba o scrivono a casa, e l’orrore della guerra non appare mai in maniera diretta. Piuttosto che una visuale dall’alto, preferisce lo sguardo ravvicinato: comprendere un fenomeno partendo da un dettaglio. Mi ricordo quando ero piccola, durante il Sessantotto, e portavo a casa i volantini del movimento studentesco. Lui li leggeva, sorvolava sul contenuto, si fermava alle parole, ma ci coglieva dicendo: “Guarda, ci sono degli errori. Non sanno neppure scrivere in italiano, che rivoluzione vuoi che facciano?”».
È previsto anche un secondo volume.
«Uscirà nei prossimi mesi con un dvd che ripercorre a ritroso i “suoi” luoghi: Milano, Rapallo, Grosseto con interviste a chi lo ha conosciuto, testimonianze, ricordi, e conterrà una scelta dei suoi scritti giornalistici. Tra riviste e quotidiani sono oltre 800 pezzi. Papà scriveva di tutto: sport, costume, società, storia, letteratura, politica. Ma la sua caratteristica è che inizia a parlare di calcio per poi raccontare delle strade di Milano o delle osterie e finire per spiegare come si fa il brodo...

Geniale e ribelle, appunto».

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