«Il mio romanzo bocciato da tutti Poi ha vinto il premio Pulitzer»

C’è una signora a New York che va citata ad esempio a tutti coloro che, sconsolati e sterili, hanno smesso di credere alla forza dei bei libri. Si chiama Erika Goldman, è una editor veterana e dirige una piccola casa editrice nonprofit, la Bellevue Literary Press. La signora legge Tinkers, il romanzo di un perfetto sconosciuto di nome Paul Harding, 42enne del Maine. E piange da quanto è bello. Sborsa mille dollari di anticipo, di più una nonprofit proprio non ce la fa, e Paul Harding li accetta. Poi lo presenta ai critici che contano e ai librai, finché le ultime allucinate ore di vita di un patriarca del New England, i suoi innumerevoli orologi e le gesta di suo padre Howard, epilettico stagnaro con carretto a mulo, diventano un culto. Dentro ci sono lo spirito alla Thoreau e le spalle larghe dell’America epica. La Random House si accaparra Harding per i successivi due romanzi. Ma alla Goldman non basta. Perché se uno piange di bellezza per un libro, deve saperlo il mondo. Lo presenta al Pulitzer 2010 e L’ultimo inverno, questo il titolo con cui Tinkers arriva in Italia (Neri Pozza, pagg. 224, euro 15,50) ce la fa, al di là di qualsiasi speranza di vittoria. Tanto che nessuno avvisa l’autore, che scoprirà dal sito del premio che il suo romanzo è, secondo la motivazione Pulitzer, «Una potente celebrazione della vita. Storia di un padre e un figlio che sublima il quotidiano in un’originale percezione del mondo».
Mr. Harding, che cosa deve a Erika Goldman?
«Incalcolabile. Ha accettato un manoscritto rigettato da tutti e giunto sino a lei per caso, grazie all’ennesimo editore che non lo voleva. E per di più, nonostante ottimi consigli per l’editing, alla fine mi ha lasciato pubblicare il libro che avevo scritto«.
Cioè?
«Non l’ha riscritto a sua immagine, come in certi casi accade».
Da perfetto sconosciuto a scrittore famoso in soli due anni. Che dice ai perfetti sconosciuti con romanzo nel cassetto?
«Accanitevi. È dura per un attore avere una parte. Per un pittore trovare una buona galleria. Per uno scrittore pubblicare. Dovete resistere, finché il vostro libro non troverà il suo miglior avvocato: il lettore».
E del sistema editoriale che pensa?
«Nel mio caso ha funzionato alla perfezione: casa editrice minuscola, ottima distribuzione, molto passaparola. A volte però gli editori fanno pietà. È come nelle macchine: non sempre hanno le qualità che ti aspettavi. E i critici? Eccentrici, irritabili, sempre sotto tiro, troppo appassionati. La penso come la maggior parte degli scrittori: adoro le buone recensioni. Sono in totale disaccordo con quelle negative».
George Washington Crosby e suo padre Howard rappresentano un’America che esiste ancora?
«Non ne sono sicuro. Il loro momento storico è passato. Mi interessava raccontarli per motivi familiari, sono ispirati a mio nonno e al mio bisnonno, e caratteriali. Ma non pensavo all’“America” mentre scrivevo.

Che poi forse è il motivo per cui il romanzo ne cattura, per caso, tempi e modi».
E ora che cosa sta scrivendo?
«Un romanzo sulla generazione successiva a quella de L’ultimo inverno, anche se non è proprio un sequel. Neri Pozza lo ha già comprato, lo pubblicherà nel 2012».

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