Sono bastati tre soli romanzi a trasformare lagente di finanza Mauro Marcialis in uno dei talenti emergenti della narrativa di genere italiana. E se con La strada della violenza (Mondadori) aveva dimostrato di muoversi a suo agio nei territori del noir, con Io&Davide (Piemme) Marcialis ha raccontato in maniera spregiudicata il mondo dei tronisti e con il recente Spartaco il gladiatore (Mondadori) è riuscito a spingersi con successo nel territorio ostico del romanzo storico, raggiungendo subito i piani alti delle classifiche di vendita.
Quanto la tua professione di finanziere ti ha stimolato nel lavoro di scrittore?
«La professione di finanziere è stata utile nella redazione del mio primo noir Le strade della violenza in quanto ho sfruttato le conoscenze tecniche per cadenzare coerentemente la parte di storia prettamente investigativa. La lingua del finanziere, di contro, non è certo letteraria e forse il mio approccio romanzesco nasce anche dal desiderio di fuggire dal burocratese».
Comè stato coinvolto nella collana storica lanciata da Mondadori?
«Il progetto La storia di Roma presentato da Valerio Massimo Manfredi prevedeva inizialmente la creazione di sei romanzi. Io sono stato coinvolto per chiamata diretta e il capitolo che mi è stato assegnato non poteva essere più affascinante: Spartaco e la rivolta servile».
Come si è documentato sulla vita di Spartaco?
«La gabbia dettata dagli eventi storici - e dentro la quale intervengono personaggi di pura invenzione - è molto rigida. La mia prima intenzione era quella di accompagnare il lettore nella Roma del tempo, mostrando gli aspetti urbanistici, religiosi, politici e militari più rilevanti ed evidenziando le caratteristiche e le ritualità più curiose. Le ricerche sono state maniacali: romanzi, saggi, documentari, produzioni cinematografiche, visite a musei e siti archeologici e gli autori di riferimento spaziano dagli scrittori dellepoca, da Floro ad Appiano, da Plutarco a Cicerone, fino a saggisti contemporanei. Sono ovviamente presenti alcune licenze storiche, per ragioni narrative o perché finalizzate ad approfondire alcuni aspetti, soprattutto quelli legati agli spettacoli gladiatori, ma puntano tutte alla verosimiglianza».
Non era preoccupato di doversi misurare con il celebre kolossal di Kubrick?
«Inizialmente ero terrorizzato, a prescindere dal kolossal di Kubrick. Ho infatti avvertito la responsabilità di non far morire il personaggio Spartaco dentro una narrazione classica e ho tentato di dare una forte connotazione sociale alla rivolta servile. Le imprese di Spartaco hanno infatti cavalcato i secoli e simbolicamente rappresentano tuttora lemblema del riscatto e della ribellione degli oppressi, i quali spezzano metaforicamente le loro catene per svincolarsi dallinfluenza delle oligarchie detentrici del potere. La guerra di Spartaco si presta quindi, in chiave ideologica, a diverse interpretazioni e ha certamente influenzato il pensiero di alcuni movimenti politici, anche di diverso orientamento. È probabile però che la maggioranza degli schiavi che aderì alla causa di Spartaco non si rivoltò contro il potere ma contro la propria condizione materiale e morale, che era a tratti insostenibile».
Perché secondo lei la figura dei gladiatori evoca sempre nei lettori unimmagine mitica?
«Nellimmaginario collettivo la figura del gladiatore è lemblema della forza e del coraggio, dello spregio del pericolo e della morte. Il sangue di questi combattenti era addirittura oggetto di contrabbando poiché ritenuto uno stimolante sessuale».
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