Miracolo in corsia: è morta ma fa nascere la figlia

Idil ha sette mesi e ha già vinto la sua battaglia. Ha resistito, è rimasta accucciata in quel ventre, aggrappata alla mamma che aveva già perso. Ogni settimana la donna stava un pochino peggio; il tumore al cervello continuava a lavorare imperterrito. È più di un mese che la donna è clinicamente morta, elettroencefalogramma piatto, ventilatori attaccati, l’ossigeno per farla respirare. No, con Eluana lei non c’entra. Senza le macchine non ci sarebbero state speranze neppure per la piccola. Ieri mattina poi quel corpo stremato ha lanciato l’ultimo allarme. Era ora. Idil doveva andare. La mamma l’ha salutata e l’ha lasciata al suo futuro.
Alle 10 e 36 di ieri mattina Idil sgambettava sulla bilancia che diceva: 750 grammi, un risultato conquistato giorno dopo giorno con fatica. Ventotto settimane ieri. Uno spartiacque tra la vita e la morte. «Un miracolo, un miracolo», continua a ripetere il padre tra le lacrime. È lui, Issa Muhiddin che ha deciso di chiamare la sua bambina come la mamma, un modo umile per dire grazie a quella donna che ha perso. Vaga tra le corsie ancora con il camice addosso, è andata a vedere la sua bimba, frastornato tra la gioia e il dolore. Con lui c’è sempre un traduttore, che ascolta e ripete: «È stato un miracolo, grazie, grazie». Erano partiti dalla Somalia a luglio, un viaggio disperato. Lei era malata grave, gravissima. Una rara forma di tumore al cervello che a Mogadiscio era impossibile curare. Venire a Torino dal fratello e sperare nei medici italiani era l’ultima chance, forse una decisione presa troppo tardi. La donna era apparsa fin dall’inizio in condizioni più che critiche. La preoccupazione a quel punto era la piccola. Si poteva provare a salvare almeno lei, un azzardo, un tentativo disperato, con la speranza di tenerla il più possibile nel ventre della mamma. Anche se in coma irreversibile la mamma doveva servire come incubatrice. Nessuna macchina avrebbe potuto dare alla piccola Idil uno sviluppo così perfetto, per questo la sfida era guadagnare tempo. «È stato il padre a chiederci di fare di tutto per salvare la bambina», racconta la dottoressa Evelina Gollo, primario anestesista e rianimazione del Sant’Anna di Torino che si è occupata della donna fin dall’inizio. Lei era lì, quando Idil è nata. «Il cesareo è durato poco, una decina di minuti, e poi lei, a sgambettare vispa, che piangeva». La dottoressa Gollo ha la voce che trema. Dietro alle considerazioni da medico si sente l’emozione. «Abbiamo fatto nascere Idil perché non potevamo più aspettare. È da agosto che la signora aveva l’elettroencefalogramma piatto. Il 13 settembre l’esame ha dato lo stesso risultato. Poi l’altra sera la donna si è aggravata. Ho dovuto aumentarle l’ossigeno al 100 per cento. Era la mia ultima carta da giocare per tenere in vita la piccola. Il padre mi continuava a chiedere di non far soffrire la mamma e di fare tutto il possibile per la piccola. E così ho fatto. Per lei ogni ora era fondamentale per farla venire al mondo più forte. Poi al mattino siamo intervenuti. Per Idil era ora di dire addio alla sua mamma. Sono sicura che abbiamo agito bene, la mamma avrebbe deciso la stessa cosa».
I medici sono ottimisti. «Bisogna essere molto cauti e aspettare i prossimi giorni, ma la piccola è nata bene e ha tutte le opportunità di essere sana e crescere bene». Per la mamma invece c’era solo da aspettare.

«Ci sono regole precise da rispettare - dice la Gollo -, abbiamo fatto un altro elettroencefalogramma e poi abbiamo attivato la commissione». La procedura dice di aspettare sei ore. Poi un altro elettroencefalogramma, l’ultimo. Alle 23 le macchine che la tenevano in vita sono state staccate e Idil, la mamma, se n’è andata.

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