Il miracolo della ragazzina che non sapeva nuotare

È restata per ore, in mare. Senza saper nuotare, aggrappata ad un rottame che galleggiava, mentre lei, col suo giubbotto-salvagente era lì in balia delle onde, da sola, con la forza dei sui quattordici anni e della disperazione. Quando finalmente i soccorsi, un battello delle Comore, l'hanno individuata nonostante il mare agitato e il forte vento, era stremata. In buone condizioni, ma stremata. Chissà se sa di essere l'unica sopravvissuta su 153 persone che erano con lei nell'aereo. Chissà se parlerà mai di cosa vuol dire stare lì, appesa letteralmente fra la vita e la morte, ad aspettare.
Chissà se parleranno mai del miracolo, perché non c'è altro modo per definirlo, che l’ha separata dalle altre 152 vittime che viaggiavano con lei su quell'Airbus per l'ultimo tratto, da Sanaa alle isole Comore. Centocinquantuno fra francesi, canadesi, palestinesi, etiopi, indonesiani, marocchini, filippini, yemeniti che per ora sono o morti o dispersi. Di certo le racconteranno che per tutto il pomeriggio i soccorsi sono andati avanti, e le voci si sono rincorse in un balletto di speranza, voci e illusioni.
Le diranno, magari, che all'inizio tutto il mondo aveva pensato che fosse un bambino di cinque anni. Che poi sembrava che il pilota le avrebbe fatto compagnia in un ristrettissimo club dei sopravvissuti, come inizialmente aveva detto la tv Al Arabiya sul suo sito internet. Invece sono passate poche ore e il ministro dei Trasporti dello Yemen, ha smentito che Khaled Hajib, 45anni, ce l'avesse fatta anche questa volta. Lui che pochi mesi fa, a novembre, era stato preso in ostaggio dai terroristi che avevano seminato la paura e la morte a Mumbai, in India, facendo ostaggi decine di stranieri nei principali hotel della città. Ce l'aveva fatta, quella volta. E tutti avevano già pensato che, nella sfortuna, fosse estremamente fortunato.
Invece no. Anche lui andrà ad allungare il conto delle vittime di un incidente che a Moroni, la capitale delle Comore, abbia visto le altre 152 persone a bordo del volo IY 626 morire davanti ai propri occhi. Perché dall'isola tutti hanno potuto vedere l'A310 dell'Yemenia Air avvicinarsi, tentare di atterrare e allontanarsi. E poi, in un attimo, non lo hanno visto più. «Ho visto l'aereo provare ad atterrare e sono entrato nel terminal per incontrare mia madre. Solo che una volta dentro non ho più visto nessun aereo», ha raccontato un testimone scioccato alla France Press.
Lo stesso strazio dei parenti degli immigrati comoriani partiti dall’aeroporto di Marsiglia. Di fronte al ritardo con cui veniva comunicata la lista dei morti hanno reagito prendendo d’assalto gli uffici aeroportuali.

Un gruppo di giovani, dopo diverse ore di attesa, ha fatto irruzione nella sala riservata alle famiglie delle vittime, prendendosela con i ritardi della compagnia e gridando: «Adesso spacchiamo tutto, non siamo cani». Ha dovuto intervenire la polizia.

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