Le grandi braccia dei soccorritori la afferrano. Lei, la piccola Zhang Chunmei, li attendeva da 68 ore. La estraggono: è viva. Respira. Ha undici anni. Era a scuola mentre il terremoto scuoteva Yingxiu, la sua città. I soccorritori le versano addosso il disinfettante e le tastano il polso, racconta un reporter dell'agenzia France Presse, presente al momento del salvataggio. La piccola Chunmei si è salvata: ancora non sa che la sua piccola città è stata più che dimezzata dal sisma che lunedì pomeriggio ha colpito il Sichuan.
Appena più grande di lei è Xiang Xiaolian, 13 anni. È rimasta per sessanta ore sotto le macerie della sua scuola, nel villaggio di Xuankou. Riesce a parlare e ricorda i momenti in cui tutto tremava: «Eravamo nell'aula di chimica. La maestra ci ha detto di correre fuori». Poi, perde i sensi. La sua maestra, Ma Jian, è lì con lei. La chiama: dopo alcuni minuti, Xiaolin riapre gli occhi. Ha perso entrambi i genitori. Sembra accorgersene solo ora. Piange: «Non lasciarmi - dice alla maestra - almeno non prima che sia morta io». Lei la accarezza. «Non lo farò», le dice.
Come la piccola Xiaolin, altri quindici ragazzi sono stati salvati dalle macerie, a tre giorni dal terremoto, nella contea di Wenchuan. Mentre erano sotto i palazzi crollati alcuni cantavano. Altri chiamavano i nomi dei loro compagni con tutta la voce che gli era rimasta. «Non ti addormentare» si dicevano l'un l'altro, senza vedersi. Da fuori gridavano: «Non urlate! Risparmiate le forze!». Li Anning ha sedici anni: è stata liberata dopo quaranta ore da quello che rimaneva della sua scuola media nella contea di Beichuan. Ora è ricoverata presso l'ospedale di Mianyang. «Eravamo al quarto piano quando abbiamo sentito la scuola tremare e in un attimo il piano sopra il nostro e quello sotto sono crollati». Accanto a lei in quel momento c'era un suo compagno di classe.
«Ho stretto la mano di Yuanfeng - ricorda - lo chiamavo, ma lui non rispondeva. E la sua mano, presto, è diventata fredda». Sotto le macerie non poteva muoversi. Aveva altre tre amiche poco lontano da lei, che avrebbe voluto raggiungere, per farsi coraggio a vicenda. E poi, c'è Jiang Meng: lui proprio non ne voleva sapere di finire i suoi giorni tra le macerie della sua scuola a Shifang. «Tiratemi fuori - urlava -. Ce la faccio a sopportare il dolore». Poi, aggiunge: «Ce ne sono altri là sotto». Viene estratto anche un altro ragazzo: Luo Yao. Braccia e gambe sono mal ridotte, ma lui, tra le braccia del soldato che lo ha salvato, sogna il suo futuro: «Voglio suonare il piano. E voglio anche ballare». Molti dei bambini che dalle macerie delle loro scuole non sono più usciti erano figli unici. La politica di pianificazione familiare varata da Deng Xiaoping nel 1979, e ancora in vigore, non permette alle donne di avere più un bambino. Alla seconda gravidanza le tasse diventano insostenibili. E i bimbi morti nel terremoto erano l'unica speranza di continuità per i loro genitori. Interi paesi del Sichuan non avranno bambini e giovani per una generazione.
I corpi dei bimbi che non ce l'hanno fatta vengono sistemati in un angolo vicino a quello che resta delle loro scuole, in attesa di sepoltura. Come i bimbi della scuola media Yinghua di Shifang. Una donna, Chen Quanhong, li riconosce uno per uno. Era la loro insegnante.
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