Mirafiori al cardiopalma. Lo stop alla trattativa sullo sviluppo dell’impianto storico della Fiat («non esistono le condizioni per raggiungere un’intesa sul piano di rilancio », ha detto ai sindacalisti Paolo Rebaudengo, responsabile delle relazioni industriali del gruppo, alzandosi dal tavolo) getta molte ombre sul destino della grande fabbrica di Torino. «Senza un accordo - spiegano alcune fonti - il destino di Mirafiori è segnato: l’agonia, alla luce della produzione attuale e dei modelli giunti a fine vita, durerà non più di due anni».Dirottata in Serbia l’erede di Fiat Idea e Lancia Musa, in un primo tempo prevista sulla linee di assemblaggio torinesi, ora la produzione della fabbrica che dà lavoro a 5.500 operai si regge soprattutto sull’Alfa Romeo MiTo. Le organizzazioni metalmeccaniche sono ancora una volta divise e, quello che più preoccupa, a parte il «no» scontato della Fiom, sono le perplessità sulle proposte della Fiat giunte da Fim e Uilm. Favorevoli, invece, Ugl e Fismic. Insomma, il caos assoluto che rischia di ripercuotersi pesantemente sulla forza lavoro. Il cordone che lega la Fiat di John Elkann e Sergio Marchionne a Confindustria e Federmeccanica rischia di spezzarsi da un momento all’altro; un pericolo per Fim e Uilm. I due sindacati che fanno capo a Cisl e Uil temono, infatti, che l’esempio del Lingotto possa essere seguito da altre aziende, con il conseguente graduale deterioramento dei rapporti con le due associazioni imprenditoriali. Sarebbe questo, a parte alcuni punti fissati sulla bozza d’accordo presentata l’altra sera da Rebaudengo, il vero nodo della trattativa. Minimizzano, a questo proposito, i due leader: «È solo una sospensione del confronto; non vengono certo da noi gli ostacoli e le difficoltà a concludere positivamente la trattativa» (Raffaele Bonanni) e Luigi Angeletti: «Siamo a un’interruzione del negoziato. È ciò che succede in confronti complessi e difficili come quelli in corso con la Fiat». A senso unico, invece, il commento di Susanna Camusso (Cgil), che però scopre le carte: «Non è più la Fiom che non firma gli accordi, ma è la Fiat che non riconosce più il contratto nazionale e vuole uscire da Confindustria». Rincara la dose Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato centrale della Fiom: «Marchionne pretende condizioni di lavoro barbare per produzioni di bassa qualità ». Su posizioni più riflessive Giovanni Centrella, di Ugl («Non possiamopermetterci di mettere a repentaglio migliaia di posti, indotto incluso»; e Roberto di Maulo, al vertice Fismic («Fim e Uilm si sono assunte una grande responsabilità»). Il governo, che mantiene il ruolo di osservatore, fa sentire la sua voce tramite il ministro Maurizio Sacconi: «L’investimento ipotizzato dalla Fiat (1 miliardo, ndr) è talmente importante- afferma- da meritare la ripresa del dialogo con priorità di attenzione a quegli aspetti sostanziali che consentono la piena utilizzazione degli impianti con i conseguenti incrementi retributivi detassati ». A livello pratico, comunque, è la situazione delle assenze per malattia (a Mirafiori piuttosto alte,circa l’8%rispetto a un tasso normale del 2%) ad aver spinto la Fiat a chiedere la costituzione di un una sorta di commissione di controllo. Richiesta puntualmente respinta al mittente.
Marchionne, intanto, si prepara a tornare negli Usa dove, il 10 dicembre, incontrerà a una conferenza la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Avverrà nella Grande Mela lo strappo più volte minacciato dalla Fiat?- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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