Prima missione armata per due Tornado italiani

Due Tornado hanno compiuto ieri mattina la prima missione italiana sulla Libia da quando il governo ha autorizzato la nostra partecipazione ai bombardamenti. I due aerei, come precisato nei giorni scorsi dallo stesso presidente del Consiglio, erano dotati di missili di precisione e la missione era puntata contro obiettivi militari selezionati. È possibile, ma non è stato confermato ufficialmente, che il bersaglio della missione fosse a Tripoli, dove nelle stesse ore di un attacco condotto dalla Nato è stata avvertita una violenta esplosione.
Sempre ieri sono atterrati all’aeroporto di Bengasi, capitale di fatto della ribellione contro il regime di Muammar Gheddafi, i dieci istruttori italiani inviati per collaborare con i venti colleghi britannici e francesi a sostegno del personale libico impegnato nella costituzione del comando operativo del Consiglio nazionale transitorio (Cnt), che l’Italia riconosce come legittimo rappresentante del popolo libico. «Gli uomini dei tre gruppi - ha spiegato il ministro della Difesa Ignazio La Russa - non avranno un’unica struttura gerarchica, con un unico comandante, ma agiranno in coordinamento fra loro, con il compito di assistere e consigliare gli ufficiali del Cnt al fine di proteggere la popolazione civile dagli attacchi delle forze fedeli a Gheddafi». La Russa ha precisato che il Cnt ha rivolto all’Italia «molteplici richieste di aiuti e sostegno», ma non «un impegno militare sul terreno».
Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha detto invece che «nessuno vuole uccidere Gheddafi, ma vogliamo che sia processato se la Corte penale internazionale lo riterrà necessario». Frattini ha aggiunto che un tema «serio» di fronte alla Corte dell’Aja è anche quello dell’uso strumentale degli immigrati per il quale «si debbono trasmettere al procuratore della corte internazionale tutti i casi in cui avremo la prova che Gheddafi ha messo dei disperati sui barconi verso l’Italia, li ha mandati a morire nel Mediterraneo. Non è questo un crimine contro l’umanità? Io credo di sì».
In Libia, intanto continuano i combattimenti tra i ribelli e le forze fedeli a Gheddafi. A Misurata, città chiave di questo conflitto dalla quale il Colonnello aveva annunciato di ritirarsi pochi giorni fa, l’artiglieria pesante è tornata a colpire facendo nuove vittime tra i civili e almeno sette caduti tra i rivoltosi. Ma secondo fonti locali c’è una notizia altrettanto preoccupante: i soldati di Gheddafi avrebbero sequestrato più di 500 residenti della città, tra cui molte giovanissimi e donne. Ieri la Nato ha negato di essere responsabile di un attacco, che sarebbe avvenuto il giorno precedente, che secondo un medico del posto avrebbe provocato la morte di 12 ribelli, rimasti «vittime collaterali» del lancio di due missili contro una casa dove si erano nascosti ormai da giorni.
Si combatte anche in aree della Libia che finora sembravano essere rimaste escluse dalle violenze, in Tripolitania e perfino nelle oasi in pieno deserto. Nel primo caso, la città di Zenten è fatta oggetto di un bombardamento con missili Grad e il posto di confine di Wazin è stato riconquistato e di nuovo perduto dai lealisti in una battaglia che ha visto piovere proiettili di artiglieria anche in territorio tunisino, costringendo gli abitanti della cittadina di Dehiba a rinchiudersi nelle cantine. Quasi duemila chilometri più a Est, un’altra breve battaglia ha avuto come teatro l’oasi di Cufra, finora rimasta tranquilla: qui circa 250 uomini fedeli al raìs a bordo di una sessantina di fuoristrada sono piombati sparando all’impazzata e costringendo i rivoltosi che avevano preso il controllo della località a una rapida fuga. I militari hanno innalzato la bandiera verde della Giamahiria gheddafiana e ai ribelli non è rimasto, dopo breve resistenza, che promettere un ritorno in forze.


La fine del conflitto fratricida in Libia non pare prossima e fonti diplomatiche americane hanno diffuso ieri un agghiacciante bilancio di questi due mesi di combattimenti: solo tra i civili si conterebbero non meno di diecimila morti, ma la stima più pessimistica gonfia il totale a trentamila.

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