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La missione incompiuta del banchiere dimezzato

Doveva governare otto anni, su pressione francese se ne andò dopo cinque. Le accuse: poco feeling con i politici ed estrema rigidità sulla gestione della valuta

La missione incompiuta  del banchiere dimezzato

Felice Manti

Un banchiere diretto, non troppo silenzioso, secondo alcuni anche un po’ presuntuoso. Wim Duisenberg passerà alla storia per essere stato il primo (e il più discusso) governatore della Banca centrale europea. Il banchiere olandese si era laureato nel 1961 in Economia e Commercio presso l’università di Groningen, in Olanda. Dopo tre anni Duisenberg aveva vinto un dottorato e iniziato la carriera accademica come assistente universitario. Nel 1970 era diventato docente di Economia all’università di Amsterdam, incarico che aveva lasciato due anni dopo per assumere quello di ministro delle Finanze olandese.
Dal 1978 al 1981 ebbe inizio la sua attività di banchiere, prima come vicepresidente del Comitato esecutivo della Babobank. Poi come presidente di Nederlandsche Bank fino al 1997. Poi arriverà la nomina a presidente dell’Istituto monetario europeo, che poi diventerà la Banca centrale europea.
Una Bce, quella diretta da Duisenberg, che i padri dell’Unione monetaria avevano disegnato come un’istituzione forte, in grado di dare stabilità e competitività alla moneta unica. Una missione alla quale Duisenberg obbedì. Nei cinque anni del suo mandato, dimezzato per le fortissime pressioni francesi, Duisenberg è stato più volte criticato per la politica monetaria che ha adottato, incapace - secondo i suoi detrattori - di dare quella spinta necessaria non solo all’euro, ma anche (e soprattutto) all’economia dei paesi dell’Unione, Francia e Germania in testa.
La moneta unica, ripeteva spesso, ci metterà «un po’ a decollare. Quello che serve è soprattutto l’assoluto rigore sulla stabilità dell’inflazione». L’economista Paul Samuelson disse: «È presuntuoso, troppo fermo sulle sue posizioni».
La sua politica monetaria, peraltro adottata dal suo attuale successore Jean-Claude Trichet, è stata apprezzata per il rigore predicato sui conti pubblici e spesso criticata da molti leader politici della Zona euro, riluttanti a cedere due importanti strumenti monetari come il controllo sui tassi di interesse e di cambio a Francoforte.
L’ex presidente francese Valéry Giscard d'Estaing, padre dello Sme insieme a Helmut Schmidt, arrivò a definire la nomina di Duisenberg «un errore di casting». Secondo una dichiarazione che Giscard d'Estaing rilasciò al settimanale francese Paris Match, infatti, il primo presidente della nuova banca sarebbe dovuto essere «un uomo dall’autorità mondialmente riconosciuta» che doveva assolvere a un compito «non tecnico ma politico» come il lancio dell’euro.
Lo scollamento tra il potere politico e quello di Francoforte si percepì anche quando l’Italia propose di coniare al più presto la banconota da un euro per cercare di far «apprezzare» agli italiani il valore del concambio. In quella circostanza Duisenberg rispose: «Per l’adozione ci vorranno ancora anni. La stiamo ancora studiando - disse - non escludiamo nulla, ma non aspettatevi decisioni in merito prima dell’immissione di una seconda serie».
Anche la sua successione non fu del tutto indolore. Nel 2000 Duisenberg, a chi chiedeva quando si sarebbe dimesso, rispose: «Potete essere sicuri che rimarrò ancora qui nei prossimi anni». In realtà il suo attuale successore, Trichet, prima di essere eletto al vertice della Bce nel 2003, dovette superare alcuni problemi giudiziari, legati al famoso scandalo del Crédit Lyonnais. L’accusa nei confronti di Trichet, poi dimostratasi falsa, era quella di aver «truccato» i conti della banca francese.
Alla base dell’avvicendamento tra Duisenberg e Trichet vi fu un compromesso politico tra la Germania, che tramite la Bundesbank aveva strenuamente difeso il suo operato, e la Francia, desiderosa di piazzare un suo uomo sul trono di Francoforte. Fu proprio il presidente Jacques Chirac, nel 1998, a insistere sull’avvicendamento Trichet-Duisenberg.

Con successo.

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