Così Android riconosce (e blocca in automatico) il telefono rubato

Google ha introdotto alcune funzioni di Intelligenza artificiale per proteggere dai ladri i dispositivi Android. Ecco come funzionano, come proteggono la privacy e quali obiettivi si pongono

Così Android riconosce (e blocca in automatico) il telefono rubato
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I dispositivi mobili sono depositari di tutto ciò che ci riguarda. Non soltanto numeri di telefono o indirizzi email ma anche fotografie, calendari e agende, applicazioni di varia natura nelle quali custodiamo dati personali o professionali.

Per questo motivo Android 15 implementerà una funzione capace di rilevare il furto dello smartphone e di bloccarlo, raggiungendo così un duplice obiettivo: disincentivare il furto dei dispositivi e proteggere la privacy degli utenti, ormai esposta a rischi sempre più ampi.

Come funziona la rilevazione dei furti di Android

Il sistema si chiama Theft detection lock ed è addestrato mediante algoritmi che riescono a rilevare quei cambiamenti repentini che possono suggerire come il dispositivo sia in mani diverse da quelle del legittimo proprietario. Tra questi comportamenti figurano sia i movimenti rilevati nell’uso dello smartphone sia il modo in cui questo viene posizionato.

Accelerometro e giroscopio svolgono quindi un compito fondamentale nel raccogliere i dati necessari a fare scattare il blocco del dispositivo.

Google ha studiato i metodi con cui i ladri si impossessano dei dispositivi mobili e, generalmente, dopo averne afferrato uno iniziano a correre: rilevare questi movimenti ed etichettarli come sospetti è il primo indizio che porta l’Intelligenza artificiale a valutare l’ipotesi che vi sia stato un furto.

Non di meno, poiché i ladri tendono disconnettere gli smartphone dalle reti cellulari per impedire di dare indicazioni circa la loro posizione Gps, la funzione Offline device lock introdotta da Google blocca lo schermo del dispositivo quando è offline per un periodo di tempo insolitamente lungo.

La questione dei furti di smartphone

Il discorso è articolato ma si può riassumere in pochi punti fondamentali: sarebbe opportuno ricorrere al Cloud affinché il dispositivo (questo vale anche per i personal computer) sia privo di dati. Chi dovesse rubarlo, senza le opportune credenziali di accesso, avrebbe tra le mani un dispositivo praticamente vergine. Soprattutto, i legittimi proprietari, possono tirare un sospiro di sollievo sapendo di potere recuperare i propri dati senza troppi patemi, fermo restando che subire un furto rimane comunque un evento indesiderato e scioccante.

Nel caso dei dispositivi mobili, però, occorre proteggere anche le applicazioni ed è per questo che Google sta introducendo delle funzioni appositamente pensate per mettere in sicurezza i dati.

Una di queste, chiamata Private space, impone l’uso di dati di autenticazione supplementari per accedere ad alcune app – soprattutto quelle bancarie – e ad alcune funzioni del sistema operativo come, per esempio, il servizio di localizzazione oppure il sistema Thef detection lock stesso. Sarà quindi necessario accedervi usando pin, eventuali password e, in aggiunta, delle credenziali biometriche (impronte digitali o riconoscimento del volto).

I ladri tendono a rivendere i dispositivi sottratti e, proprio per questo motivo, Google sta introducendo una funziona che impedisce di riconfigurare gli smartphone dopo averli

riportati alle condizioni di fabbrica (a meno che non si conoscano tutti i dati di accesso).

Alcune di queste funzioni potrebbero essere estese anche a dispositivi con a bordo versioni Android precedenti alla 15.

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